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Nato, pioggia di miliardi per la cyber: serve una governance unitaria e trasparente



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Uno stanziamento addizionale da 35 miliardi di euro entro il 2029 sarà destinata allo sviluppo di tecnologie per la cyber security, la protezione delle infrastrutture critiche, l’intelligence predittiva e le piattaforme di contrasto alle minacce ibride. Ecco il nuovo paradigma della Nato e le sfide per l’area euroatlantica

Pubblicato il 10 giu 2025

Luisa Franchina

Presidente Associazione Italiana Infrastrutture Critiche (AIIC)

Tommaso Diddi

Analista Hermes Bay



Nato, pioggia di miliardi per la cyber security: le sfide per l'area euroatlantica

In arrivo tanti miliardi per il comparto cyber security. L’Italia prepara un salto di qualità nelle capacità digitali di difesa, con uno stanziamento addizionale da 35 miliardi di euro entro il 2029.

Una parte rilevante di queste risorse sarà destinata allo sviluppo di tecnologie per la cyber sicurezza, la protezione delle infrastrutture critiche, l’intelligence predittiva e le piattaforme di contrasto alle minacce ibride.

La spinta arriva anche dal nuovo orientamento della Nato, che – in vista del vertice di luglio 2025 a Washington – prevede l’inclusione delle capacità cibernetiche nel computo ufficiale della spesa per la difesa.

Un cambio di paradigma che potrebbe accelerare gli investimenti nel dominio digitale e rafforzare la resilienza strategica del Paese.

Il caso dell’Italia nel contesto geopolitico attuale

Il quadro geopolitico attuale, caratterizzato da una competizione crescente tra potenze globali e dal protrarsi dei conflitti in Europa orientale e in Medio Oriente, impone agli Stati membri dell’Alleanza una revisione sostanziale delle priorità strategiche.

La proposta di innalzare l’asticella di spesa al 5% del Pil, promossa in particolare da alcuni Paesi nordici e dall’est europeo, rappresenta un segnale politico di dissuasione e coesione. Ma implica al contempo sfide economiche rilevanti per numerose economie dell’area euroatlantica.

Nel caso dell’Italia, il tema è stato recentemente affrontato nel contesto della legge di bilancio per il triennio 2025-2027, con uno stanziamento addizionale alla Difesa pari a 35 miliardi di euro fino al 2029.

Secondo il ministero della Difesa, questa cifra potrebbe coprire solo il primo tratto del percorso verso il target del 3,5% del PIL, soglia considerata intermedia rispetto al 5% e già sostenuta da Germania, Regno Unito e Paesi Bassi.

La quota italiana attualmente si attesta attorno all’1,5%, valore che include anche le spese per il comparto cyber e le operazioni internazionali di stabilizzazione.

Il nuovo paradigma Nato

L’aspetto forse più innovativo del nuovo paradigma Nato riguarda l’esplicita inclusione delle capacità cibernetiche nel computo della spesa difensiva. In precedenza, solo le spese strettamente legate all’apparato militare convenzionale – eserciti, marina, aviazione, mezzi corazzati, sistemi missilistici – venivano considerate.

Il concetto aggiornato prevede invece che anche investimenti in cyber intelligence, infrastrutture digitali critiche, tecnologie di sorveglianza, crittografia post-quantistica e piattaforme di contrasto alle minacce ibride rientrino a pieno titolo nel calcolo degli oneri di difesa.

Una simile estensione apre scenari significativi per la trasformazione strutturale delle forze armate, ma anche per la collaborazione pubblico-privato in ambito digitale.

Si consideri che la Germania ha già annunciato un piano di rafforzamento del proprio esercito, con l’assunzione di 50-60mila soldati e un riorientamento strategico del Bundeswehr verso la resilienza cibernetica.

Il programma tedesco prevede anche la costituzione di un’unità dedicata al contrasto delle operazioni di guerra ibrida e all’integrazione dei domini cyber-spazio-elettromagnetico.

Accelerazione nei processi di procurement e sinergia fra Difesa e It

Per l’Italia, un simile salto richiederebbe non solo nuove risorse economiche, ma anche una revisione delle attuali priorità di investimento. La coesistenza tra modernizzazione dei sistemi d’arma e sviluppo delle capacità digitali impone un’accelerazione nei processi di procurement e una maggiore sinergia tra il comparto Difesa e quello dell’Innovazione tecnologica.

Attualmente, una parte rilevante del budget cyber è assorbita da iniziative di digitalizzazione amministrativa, protezione perimetrale delle reti ministeriali e programmi di difesa passiva delle infrastrutture critiche.

Tuttavia, la nuova dottrina Nato spinge per un approccio offensivo e proattivo alla minaccia cyber, fondato su intelligence predittiva, rapid response e capacità di neutralizzazione automatizzata degli attacchi.

Miliardi di investimenti nella cyber security: serve una governance unitaria e trasparente

In quest’ottica, il comparto nazionale della cyber security si trova davanti a una finestra strategica unica. L’inclusione del dominio digitale nel perimetro della sicurezza collettiva transatlantica può tradursi in un incremento significativo degli investimenti, nell’apertura di nuove opportunità occupazionali e nella valorizzazione delle competenze locali.

Allo stesso tempo, è necessaria una governance unitaria e trasparente, che eviti la frammentazione delle responsabilità tra i diversi attori istituzionali.

A tal proposito, si osserva un crescente interesse da parte del ministero della Difesa verso strumenti integrati di simulazione di crisi, piattaforme di gestione del rischio cibernetico e ambienti addestrativi digitali per il personale delle Forze armate.

La recente dottrina europea sulla Difesa

L’inserimento della componente cyber nei target di spesa Nato è anche coerente con la recente dottrina europea sulla Difesa, che identifica come prioritarie le sfide ibride, le operazioni di disinformazione, l’interferenza sui processi democratici e l’interruzione delle supply chain tecnologiche.

Secondo un report del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Eeas), nel 2024 si sono moltiplicati i tentativi di intrusione nei sistemi di comando e controllo delle basi militari europee, spesso veicolati attraverso vulnerabilità nei sistemi di gestione logistica.

Di qui la necessità di rafforzare la catena del valore della difesa digitale e investire in tecnologie dual-use, capaci di operare sia in ambito civile sia in contesto militare.

La sostenibilità economica

Rimane aperta la questione della sostenibilità economica di un target del 5% per tutti i Paesi membri.

Alcuni osservatori rilevano che un aumento così marcato potrebbe compromettere l’equilibrio fiscale delle economie più indebitate. Altri, al contrario, sottolineano che la nuova soglia potrebbe agire come stimolo per una più efficiente gestione del bilancio pubblico e per la riconversione tecnologica delle industrie della difesa.

Si tratta di un dibattito ancora in evoluzione, ma che segna un passaggio chiave nella storia dell’Alleanza atlantica: il passaggio da una difesa statica a una postura adattiva e tecnologicamente evoluta.

Prospettive future

La trattativa sul nuovo target di spesa Nato rappresenta un momento decisivo non solo per la sicurezza collettiva, ma anche per l’orientamento strategico degli investimenti pubblici nei prossimi decenni.

L’Italia, pur muovendosi con cautela e pragmatismo, ha ora l’opportunità di posizionarsi come attore centrale nel dominio della difesa digitale, valorizzando il proprio capitale umano, le competenze industriali e le esperienze già maturate nel settore della cyber security.

Un impegno che, se ben gestito, può contribuire a rafforzare la sovranità tecnologica nazionale e a costruire una sicurezza comune più resiliente, flessibile e allineata alle sfide del XXI secolo.

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