LA GUIDA PRATICA

Security policy dello smart working: guida pratica per i datori di lavoro

L’aumento del numero di lavoratori a distanza nel contesto della pandemia di Covid-19 ha contribuito a moltiplicare proporzionalmente i rischi informatici per le aziende. Ecco un’utile guida pratica per realizzare una efficace security policy dello smart working

Pubblicato il 21 Mag 2020

Giampaolo Dedola

Senior security researcher (GReAT) di Kaspersky

Security policy smart working guida pratica

Nel contesto della pandemia di Covid-19, Internet ha giocato e sta giocando un ruolo ancora più centrale in tutto il mondo consentendo alle persone di lavorare da casa in modalità smart working, di studiare, accedere ai contenuti in streaming, giocare online e comunicare con le persone attraverso i social media e le app di videoconferenza.

Anche le aziende stesse hanno dovuto trovare il modo di sfruttare tutte le opportunità che offre il digitale per continuare a fornire ai clienti i propri servizi, o per soddisfare le nuove esigenze dei consumatori e allo stesso tempo garantire la continuità delle entrate.

Security policy dello smart working: il contesto

Il 75% delle aziende ha ampliato le proprie politiche interne legate al lavoro da casa e sta investendo di più in tecnologie chiave che siano in grado di supportare il lavoro da remoto. In previsione molte di loro, infatti, si aspettano di spendere di più per garantire la comunicazione e la collaborazione tra i dipendenti (43%), per i dispositivi e i servizi mobili (37%), per la larghezza di banda e la capacità di rete (32%) e per la sicurezza informatica (28%).

L’aumento del numero di lavoratori a distanza ha moltiplicato proporzionalmente i rischi informatici legati allo smart working che Kaspersky aveva già evidenziato in periodo pre-crisi conducendo una ricerca e interrogando un totale di 3.041 dipendenti IT di piccole e medie imprese operanti in 29 Paesi in tutto il mondo. Agli intervistati era stata chiesta come fosse organizzata la loro infrastruttura IT, quali persone fossero coinvolte nella gestione della sicurezza informatica e che tipo di strumenti e servizi in-the-cloud fossero adottati. Da questa indagine è emerso che quasi un’azienda su due, 50% nel caso di imprese molto piccole e 40% per le piccole medie imprese, permetteva già prima ai propri dipendenti di lavorare da remoto. Ovviamente nella situazione di quarantena, queste percentuali sono cresciute notevolmente, raggiungendo quasi il 100%.

Security policy dello smart working: le minacce

Un comportamento che causa dei rischi è il fatto che in questi casi, le comunicazioni di tipo personale vengono spesso mescolate a quelle aziendali poiché i dipendenti utilizzano i propri dispositivi per lavoro e viceversa. La connessione a una vasta gamma di servizi cloud, l’installazione di software o l’utilizzo di dispositivi mobili possono rappresentare nuove sfide per gli amministratori IT che devono tenere sotto controllo ogni elemento attenendosi, allo stesso tempo, alle security policy. Questa situazione rende ancora più importante la necessità di verificare quanto un’azienda sia pronta ad affrontare le sfide poste dal lavoro da remoto in termini di sicurezza informatica.

Ransomware, infezioni da malware e spionaggio aziendale sono tra le minacce che devono essere considerate in ogni momento, e la scarsa sicurezza delle reti domestiche amplifica il rischio di infezione.

Si è già parlato del malware che in occasione dell’emergenza legata alla Covid-19 è stato inserito in file che dovevano sembrare documenti informativi riguardo al virus e che avevano come obiettivi settori quali i trasporti, la produzione, l’ospitalità, l’assistenza sanitaria e le assicurazioni.

Un altro rischio che potremmo definire “interno” alle aziende è la scarsa formazione dei dipendenti in materia di sicurezza informatica.

I team dei reparti IT e di sicurezza possono fissare delle security policy per consentire o meno l’accesso ai dipendenti a determinati file e cartelle, ma rimane sempre la possibilità dell’errore umano. I dipendenti, infatti, sono diventati un obiettivo primario per la criminalità informatica: sfruttare le debolezze umane come la disattenzione, l’ignoranza o la negligenza è molto più facile e meno costoso che cercare di ingannare sofisticati software di protezione.

Lo scorso anno, il 67% dei furti di credenziali ha avuto successo grazie a errori causati da dipendenti disattenti che si sono lasciati ingannare da truffe di phishing. L’impatto finanziario medio annuo per una PMI, che rappresenta la tipologia di aziende più diffuse in Italia, di una violazione dei dati causata da un uso inappropriato delle risorse IT da parte dei dipendenti è di circa 116.000 dollari[1]. Una cifra che rischierebbe di mettere in ginocchio un’azienda di piccole dimensioni. Da un recente report di Kaspersky, che ha visto il coinvolgimento di 6.000 dipendenti in tutto il mondo e di 550 solo in Italia, è inoltre emerso che almeno il 73% degli italiani coinvolti dal sondaggio ha dichiarato di non aver avuto una formazione in tema di sicurezza informatica da quando ha iniziato a lavorare da remoto.

In questo momento di emergenza, questo dato risulta ancora più preoccupante se teniamo in considerazione che quasi un quarto (24%) dei dipendenti intervistati ha detto di aver già ricevuto, ad esempio, e-mail di phishing a tema Covid-19 e quindi sarebbe stato utile che avessero ricevuto la formazione necessaria per sapere come affrontare questi rischi. Il download accidentale di contenuti malevoli da questo tipo di e-mail può portare all’infezione dei dispositivi e anche alla compromissione dei dati aziendali con conseguenze enormi da un punto di vista economico e di reputazione.

Le basi di una security policy dello smart working

Tenendo conto di queste statistiche, per costruire un ambiente aziendale più sicuro e mettere i dipendenti nella condizione di lavorare in sicurezza anche da casa, molte organizzazioni dovrebbero inserire tra le loro priorità la questione relativa al rafforzamento e al miglioramento della consapevolezza in materia di sicurezza informatica dei loro dipendenti.

La formazione in materia di sicurezza informatica spesso viene percepita dai dipendenti come una attività faticosa e noiosa e che non ha nulla a che fare con le mansioni lavorative. È anche vero che qualche volta i programmi di formazione non sono adeguati alle esigenze dei dipendenti perché magari sono troppo brevi e le conoscenze non hanno il tempo di essere acquisite adeguatamente, o magari troppo lunghi e noiosi da completare, e pieni di informazioni irrilevanti.

Un programma di formazione in grado di migliorare davvero il livello di sicurezza di un’azienda dovrebbe includere attività di formazione non solo relative alla conoscenza della sicurezza informatica ma anche in grado di agire sul comportamento dei dipendenti.

Un dipendente adeguatamente formato seguirà le policy di sicurezza e le migliori pratiche fornendo un contributo importante alla protezione dell’azienda e alla sua reputazione e riducendo drasticamente la possibilità che l’azienda diventi vittima di un attacco informatico a causa di azioni guidate dalla mancanza di consapevolezza dei dipendenti. Una corretta security awareness che comprenda soluzioni per la formazione basate su behavioural science, data science e psychological and creative learning research, può aiutare le organizzazioni a sviluppare una cultura “cyber-safe”. Questo approccio permette di affrontare i problemi di sicurezza informatica che potrebbero colpire qualsiasi tipo di dipendente, a prescindere dal reparto in cui opera.

Un’altra abitudine dei dipendenti emersa durante il lockdown è quella di utilizzare servizi digitali personali per scopi lavorativi contribuendo all’aumento dei potenziali rischi connessi agli Shadow IT, compresa la divulgazione di informazioni sensibili.

Ad esempio, il 43% dei dipendenti italiani utilizza account di posta elettronica personali per questioni di lavoro e il 49% ammette di farne uso con maggiore frequenza da quando lavora da casa. Il 39%, invece, utilizza app di messaggistica personali non approvate dai responsabili IT, e il 68% ha dichiarato di farlo con maggiore frequenza date le nuove circostanze

Spesso la praticità di alcuni servizi, riscontrata dai dipendenti, si scontra con le esigenze di business e sicurezza. Le aziende si trovano quindi nella posizione di non poter sempre soddisfare le richieste dei dipendenti di utilizzare alcuni servizi a scopi lavorativi.

È necessario trovare un equilibrio tra praticità e esigenze di business. Per fare ciò, le aziende dovrebbero fornire l’accesso a servizi che forniscano soltanto i privilegi minimi necessari, implementare una VPN e utilizzare sistemi aziendali sicuri e approvati. Questa tipologia di software può avere alcune restrizioni che influiscono leggermente sulla usability, ma offrono maggiori garanzie di sicurezza. In generale, dotarsi di una soluzione specifica per i servizi cloud potrebbe essere un primo passo importante.

I consigli per lavorare da remoto in sicurezza

In definitiva, per garantire che le aziende mantengano al sicuro i propri dipendenti e i dati aziendali durante il lavoro da remoto è consigliato seguire alcuni semplici consigli:

  • Per cominciare è importante che le aziende si assicurino che i dipendenti abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno per lavorare in sicurezza anche da remoto e sappiano a chi rivolgersi in caso di problemi di sicurezza informatica. È importante prestare particolare attenzione a quei dipendenti che devono lavorare da casa utilizzando dispositivi personali, fornendo loro delle indicazioni e delle raccomandazioni specifiche a livello di cyber security.
  • Come abbiamo già detto è prioritario programmare delle occasioni di formazione di base per i dipendenti a tema sicurezza informatica. Si tratta di un tipo di formazione che può essere fatta anche online e che dovrebbe riguardare alcune tematiche essenziali, come la gestione di account e password, la sicurezza della posta elettronica, degli endpoint e della navigazione online.
  • Adottare misure fondamentali per la protezione dei dati, così da salvaguardarli insieme ai dispositivi aziendali, come l’attivazione di una protezione tramite password, la crittografia dei dispositivi di lavoro e la garanzia di un backup per i dati.
  • Assicurarsi sempre che tutti i dispositivi, software, applicazioni e servizi siano sempre aggiornati con le ultime patch.
  • Installare un software di protezione sicuro su ogni endpoint compresi i dispositivi mobili e attivare il firewall. Il prodotto di protezione dovrebbe includere la protezione dalle minacce web e dal phishing tramite e-mail.
  • Prestare la massima attenzione alla protezione dei dispositivi mobili: abilitare le funzionalità antifurto come l’individuazione della posizione del dispositivo, il blocco e la cancellazione dei dati, il blocco dello schermo e la password, e il Face ID o il Touch ID: abilitare il controllo delle applicazioni per garantire che siano installate solo quelle della white list.

Molto importante, inoltre, adottare strumenti di controllo e protezione degli endpoint aziendali in grado di aiutare gli amministratori IT a mantenere una maggiore trasparenza sull’IT aziendale e a garantire che all’interno della propria organizzazione vengano utilizzati solo servizi cloud affidabili.

Infine, una eventuale funzione di rilevamento del cloud consente di definire la lista dei servizi in-the-cloud autorizzati che soddisfano i criteri di sicurezza aziendali e di garantire che questo elenco venga rispettato.

NOTE

  1. Kaspersky “IT security economics in 2019”

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