LA RIFLESSIONE

Riconoscimento facciale e privacy: serve equilibrio tra sicurezza e diritti civili



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La problematica della sorveglianza mediante il riconoscimento facciale solleva questioni di consenso e autonomia personale. L’adozione delle tecnologie biometriche pone, dunque, in rilievo la necessità di una disamina scrupolosa delle implicazioni legali e delle modalità di regolamentazione. Facciamo chiarezza

Pubblicato il 14 mag 2024

Francesca Niola

Ph.D Researcher, Sapienza Università di Roma – Fellow ISLC, Università di Milano



Videosorveglianza e riconoscimento facciale linee guida EDPB

Nel panorama giuridico contemporaneo, la questione dell’utilizzo dei sistemi di riconoscimento facciale da parte delle autorità pubbliche solleva interrogativi di notevole complessità, che si intrecciano con le più ampie tematiche di diritto alla privacy, autonomia individuale e sorveglianza statale.

L’adozione di queste tecnologie biometriche, pur fungendo da catalizzatori per un presunto rafforzamento della sicurezza collettiva, pone in rilievo la necessità di una disamina scrupolosa delle implicazioni legali e delle modalità di regolamentazione.

Riconoscimento facciale e privacy: il contesto

Il contesto europeo, segnatamente sensibile alle questioni di privacy, si contrappone a una tendenza globale verso un incremento del controllo e della sorveglianza.

La normativa dell’AI Act, insieme al Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), si erge come baluardo contro l’erosione delle libertà civili, tentando di bilanciare l’innovazione tecnologica con il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini.

Tale legislazione, emergente in risposta all’ubiquità delle tecnologie di sorveglianza, incarna il tentativo di modulare l’impiego di strumenti potenzialmente invasivi come il riconoscimento facciale, circoscrivendone l’uso a condizioni strettamente delineate e sotto rigorosa supervisione giuridica.

La problematica centrale risiede nell’interrogativo su come tali strumenti possano coesistere con le aspettative di riservatezza e autonomia personale che sono saldamente radicate nel tessuto giuridico europeo.

L’impiego di sistemi di riconoscimento facciale, in particolare, solleva questioni non solamente tecniche, ma eticamente rilevanti. La capacità di tali sistemi di registrare, memorizzare e analizzare tratti biometrici pone sotto i riflettori la questione dell’identità personale e della sua tutela, trasformando ogni individuo in un potenziale oggetto di sorveglianza continua.

Principi di proporzionalità e necessità, tra AI Act e GDPR

L’indagine sull’uso di queste tecnologie, quindi, non si limita a una mera valutazione della loro efficacia o della loro sicurezza tecnologica, ma si estende ai principi di proporzionalità e necessità. È imperativo che ogni implementazione di sistemi di riconoscimento facciale sia preceduta da una valutazione d’impatto approfondita, che consideri le ramificazioni sulla vita privata dei soggetti coinvolti e sul più ampio tessuto sociale.

L’evoluzione delle normative relative al riconoscimento facciale si colloca in un arco temporale che testimonia una crescente preoccupazione per la salvaguardia dei diritti individuali di fronte all’avanzare delle tecnologie di sorveglianza.

La regolamentazione dell’AI Act, insieme al GDPR, stabilisce un quadro normativo che si propone di mitigare i rischi legati al trattamento dei dati biometrici, imponendo restrizioni stringenti e delineando obblighi precisi per gli enti che adottano tali tecnologie.

Questo quadro normativo rappresenta un tentativo di risposta ai dilemmi etici suscitati dall’uso del riconoscimento facciale, una tecnologia che, per sua natura, incide profondamente sull’ambito dei dati personali sensibili.

In virtù del GDPR, ogni trattamento di dati biometrici ai fini dell’identificazione univoca di una persona è considerato particolarmente invasivo e, di conseguenza, soggetto a un livello di protezione elevato. Tali dati, infatti, vengono categorizzati come “categorie particolari di dati personali”, la cui elaborazione è generalmente proibita, salvo specifiche eccezioni che richiedono rigorose valutazioni di liceità e necessità.

L’AI Act, specificatamente, introduce ulteriori specificazioni per la regolamentazione dei sistemi di intelligenza artificiale, ponendo l’accento sulla trasparenza, la sicurezza e la responsabilità degli algoritmi utilizzati.

Il legislatore europeo, con questa normativa, mira a instaurare un equilibrio tra l’innovazione tecnologica e i diritti fondamentali degli individui, enfatizzando la necessità di un’approvazione regolamentare prima dell’implementazione di sistemi AI che possano avere un impatto significativo sulla società.

Il caso del riconoscimento facciale nella metro di Roma

Nel contesto specifico del riconoscimento facciale, l’AI Act e il GDPR si combinano per formare un baluardo contro l’uso indiscriminato e non regolato di questa tecnologia, imponendo che ogni applicazione di tale sistema sia preceduta da una dettagliata valutazione d’impatto sulla protezione dei dati.

Questo processo è essenziale per assicurare che i rischi per i diritti e le libertà degli individui siano minimizzati e che le misure di mitigazione siano adeguatamente implementate.

Il caso del sistema di riconoscimento facciale nelle stazioni della metropolitana di Roma, recentemente oggetto di indagine da parte del Garante per la protezione dei dati personali, offre un campo di analisi estremamente fertile per esplorare le intersezioni tra tecnologia, diritto e privacy.

Secondo quanto riportato, l’Amministrazione capitolina ha progettato l’installazione di telecamere con capacità di riconoscimento facciale come strumento di monitoraggio e controllo delle condotte nei luoghi pubblici, specificamente nelle stazioni metro in vista del prossimo Giubileo.

L’iniziativa solleva questioni giuridiche di rilevanza notevole, particolarmente in relazione al trattamento di dati biometrici in un contesto pubblico, una pratica che, per sua natura, incrocia direttamente la normativa vigente sul trattamento dei dati personali e sulla protezione della privacy individuale.

Il Garante ha quindi richiesto chiarimenti sull’adeguatezza delle misure di sicurezza adottate, sulla base giuridica del trattamento dei dati biometrici e sulla conformità di tale sistema alle normative di settore, compresa una copia della valutazione d’impatto sulla protezione dei dati personale richiesta dal GDPR.

L’analisi di questo caso deve considerare la moratoria vigente fino al 2025, che proibisce l’installazione di sistemi di videosorveglianza che includono il riconoscimento facciale in luoghi pubblici da parte delle autorità pubbliche o di soggetti privati, con l’eccezione delle autorità giudiziarie e di altre autorità pubbliche per fini specifici di prevenzione e repressione dei crimini, e sempre previo parere favorevole del Garante per la Privacy.

La problematica qui si estende al dibattito più ampio sull’equilibrio tra sicurezza e diritti civili: il riconoscimento facciale in luoghi così frequentati come le stazioni metro pone inevitabilmente la questione di come questi strumenti possano essere utilizzati senza erodere i diritti alla privacy individuale.

Il sistema di FaceBoarding di Linate: un caso di studio

Altro caso di studio interessante riguarda l’introduzione del sistema FaceBoarding presso l’aeroporto di Linate, gestito dalla SEA S.p.A., rappresenta un significativo punto di intersezione tra le tecnologie di riconoscimento facciale e le normative sulla protezione dei dati personali.

Questo caso di studio solleva questioni giuridiche pregnanti, poiché il trattamento dei dati biometrici in un contesto aeroportuale apre nuove dimensioni di analisi sulla loro gestione, conservazione e sicurezza.

Il sistema in esame si fonda sulla raccolta e l’elaborazione di dati biometrici del volto, come delineato dalla normativa europea GDPR, che categorizza tali dati come “sensibili”. Pertanto, il loro trattamento è soggetto a restrizioni severe volte a garantire la protezione della privacy degli individui.

La critica principale, in questo ambito, si concentra sulla modalità di conservazione dei dati raccolti: questi, per quanto criptati e trattati secondo i più elevati standard di sicurezza, rimangono suscettibili a rischi di violazioni che potrebbero avere impatti devastanti sull’individuo cui i dati si riferiscono.

La SEA S.p.A. assicura che i dati biometrici sono gestiti con la massima cura e secondo protocolli che garantiscono la loro integrità e sicurezza.

Tuttavia, il giurista deve considerare se le misure adottate siano adeguatamente proporzionali al rischio presentato e se realmente capaci di contrapporsi agli inevitabili rischi di sicurezza associati alla gestione di tali dati.

L’approccio adottato dall’aeroporto di Linate deve essere scrutinato non solo per la sua aderenza alle normative vigenti, ma anche per la sua capacità di tutelare effettivamente la privacy degli utenti in un’epoca in cui i dati biometrici possono essere considerati tanto utili quanto pericolosi.

La legittimità dell’uso del FaceBoarding, quindi, si ancora fortemente alla trasparenza e alla responsabilità con cui viene gestito il processo di raccolta dei dati.

La normativa GDPR impone che ogni trattamento di dati biometrici sia preceduto da una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati che chiarisca, in maniera dettagliata e comprensibile, i rischi connessi e le misure adottate per mitigarli.

Questa valutazione deve essere accessibile agli interessati, i quali dovrebbero essere in grado di comprendere pienamente le implicazioni del trattamento dei loro dati personali.

Ampio dibattito sull’equilibrio tra sicurezza e diritti civili

Il dibattito critico riguardante l’utilizzo dei sistemi di riconoscimento facciale si articola intorno a questioni giuridiche, etiche e sociali di notevole rilevanza, intersecandosi profondamente con il diritto alla privacy e la protezione dei dati personali.

Nei contesti esaminati, quali le stazioni metro di Roma e il sistema FaceBoarding a Linate, emerge una tensione fondamentale tra le esigenze di sicurezza pubblica e il rispetto dei diritti individuali.

La valutazione critica si focalizza sull’adeguatezza delle normative esistenti, quali il GDPR e l’AI Act, nel regolare efficacemente l’uso delle tecnologie biometriche.

Sebbene queste leggi offrano un quadro di protezione, la loro applicazione pratica solleva interrogativi sulla loro capacità di controbilanciare l’innovazione tecnologica con la tutela dei diritti fondamentali. In questo contesto, l’efficacia di una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati, richiesta dalla normativa, diviene cruciale.

Tale valutazione deve non solo identificare i rischi, ma anche proporre misure di mitigazione adeguate che garantiscano la sicurezza dei dati personali contro possibili abusi.

Questioni di consenso e autonomia personale

Inoltre, la problematica della sorveglianza mediante il riconoscimento facciale solleva questioni di consenso e autonomia personale.

L’uso di tali tecnologie in spazi pubblici, come le stazioni della metropolitana, introduce una dimensione di sorveglianza ininterrotta che può essere percepita come un’intrusione ingiustificata nella vita privata degli individui. Ciò pone in dubbio la proporzionalità dell’uso del riconoscimento facciale rispetto agli scopi di sicurezza dichiarati.

Il dibattito si estende anche alla responsabilità degli enti privati, come nel caso di SEA S.p.A., nel gestire i dati biometrici. La fiducia pubblica nei sistemi di protezione dei dati è essenziale, e la trasparenza operativa diventa un pilastro fondamentale.

Le aziende devono dimostrare non solo conformità normativa, ma anche un impegno etico nella protezione delle informazioni personali, evitando la commercializzazione o l’uso improprio di tali dati.

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