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Google fa dietrofront sui cookie di terze parti: cosa non ha funzionato e cosa accadrà



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Nonostante gli sforzi profusi nel rendere migliore la user experience degli utenti online, Google fa sapere di intraprendere “un nuovo percorso per il Privacy Sandbox sul web”, retrocedendo rispetto alla scelta, ambiziosa, di eliminare i famosi cookie di terze parti. Capiamo come e perché

Pubblicato il 24 lug 2024

Chiara Ponti

Avvocato, Privacy Specialist & Legal Compliance e nuove tecnologie – Giornalista



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Dopo un primo slittamento annunciato all’inizio della scorsa primavera, Google ha annunciato per voce di Anthony Chavez, vicepresidente di Privacy Sandbox, la retromarcia rispetto al tema della eliminazione dei cookie di terze parti presenti in Chrome, abbandonando definitivamente il progetto inizialmente intrapreso che voleva eliminare, in via graduale, i cookie di tracciamento dal browser web Chrome.

Quindi, un’ulteriore battuta di arresto, ma questa volta definitiva ed ecco che spuntano nuove ipotesi di Privacy Sandbox.

Google: l’annuncio di retromarcia sui cookie di terze parti

Nonostante gli sforzi profusi per quasi un quadriennio con il nobile intento di migliorare l’esperienza sul web dell’utente, e le pagine informative su come “Eliminare, consentire e gestire i cookie in Chrome”, il noto colosso del web annuncia lo scorso 22 luglio, sul blog di Google Italy, che non eliminerà più i cookie di terze parti sul web, adottando in una strategia che mira a un “nuovo percorso”.

La notizia: marcia indietro

Nel blog ufficiale leggiamo testualmente: “Abbiamo sviluppato Privacy Sandbox con l’obiettivo di trovare soluzioni innovative che possano migliorare significativamente la privacy online e al tempo stesso preservare un internet supportato dalla pubblicità che sostiene un ecosistema di publisher attivo, mette in contatto le aziende con i clienti e offre a tutti accesso libero a un’ampia gamma di contenuti”, e così fa il preambolo, spianando il terreno.

Per poi proseguire dicendo: “Nel corso di questo processo abbiamo ricevuto feedback da numerose parti interessate, inclusi regolatori come l’Autorità per la concorrenza e i mercati del Regno Unito (CMA) e l’Information Commissioner’s Office del Regno Unito (ICO), publisher, sviluppatori web ed enti di normazione, società civile e attori appartenenti al settore pubblicitario” dando un panorama sui lori primari interlocutori. Ma dai riscontri ricevuti è emerso che occorre, come dichiara il VP Chavez, “…creare soluzioni che mirano a supportare un mercato competitivo e fiorente per publisher e inserzionisti, e a incoraggiare l’adozione di tecnologie che migliorino la privacy”.

Di qui, si intravedono i “nuovi percorsi”, spiegandone i razionali.

Ancora, è importante notare come daiprimi test condotti da società di tecnologia pubblicitaria, tra cui Google” è emerso che “le API Privacy Sandbox hanno il potenziale per raggiungere questi risultati” non potendo prevedere altro se non miglioramenti nel tempo con un significativo aumento, in termini di adozione nel settore.

Certo, il tutto richiederà, aggiunge Chavez, un grosso lavoro da parte di tanti e “…avrà un impatto su publisher, inserzionisti e tutti coloro che sono coinvolti nella pubblicità digitale”.

La soluzione: approccio aggiornato nel far scegliere

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, Chavez prosegue, affermando che “proponiamo un approccio aggiornato” che consiste nel consentire alle persone di scegliere, ma anziché “eliminare i cookie di terze parti, prevediamo di introdurre una nuova esperienza in Chrome che consenta agli utenti di fare una scelta informata che si applichi a tutta la loro navigazione sul web”.

Non una scelta immutabile, anzi: puntano a un’opzione modificabile in qualunque momento e a semplice piacimento. Insomma, con la stessa filosofia del “consenso”, in qualche modo, se ci pensiamo: tanto agilmente lo presto, quanto così lo revoco.

Privacy al centro

Il VP Chavez, tuttavia, non si preoccupa soltanto di comunicare una scelta (aziendale) di campo importante, ma tiene anche a precisare che “gli sviluppatori dispongono di alternative adatte a preservare la privacy”.

Di qui, la vision che si traduce nella politica aziendale di aumentare “controlli sulla privacy aggiuntivi” con la previsione di “introdurre la protezione IP nella modalità di navigazione in incognito di Chrome” onde evitare in assoluto qualsiasi forma di tracciamento dell’utente.

Cookie di terze parti: cosa non ha funzionato e cosa accadrà

Lo stop al tentativo di voler progressivamente eliminare i cookie di terze parti sul web, da parte della big tech, scatena evidentemente le prime voci critiche, a maggior ragione a fronte di una situazione nella quale gli stessi competitor come Apple/Safari e Mozilla/Firefox già da anni (2020) non supportano più cookie di terze parti, introducendo protezioni avanzate di tracciamento e, peraltro, non solo quelle.

Non c’è dunque da stupirsi che la Competition and Markets Authority – CMA del Regno Unito stia monitorando attentamente i cambiamenti apportati da Google, con “la logica conseguenza che vede l’introduzione di un prompt [comando] di scelta utente, che consenta agli utenti di scegliere se conservare i cookie di terze parti“.

Da ultimo, proviamo a ipotizzare qualche scenario futuro, partendo proprio dal presupposto che la CMA del Regno Unito, come ha già annunciato, non pubblicherà il suo aggiornamento trimestrale sulla conformità di Google.

Ecco perché detta Autorità è chiamata a valutare attentamente il nuovo (annunciato) approccio di Google alla “Privacy Sandbox”, e dovrà lavorare gomito a gomito con l’Autorità Garante privacy inglese l’Information Commissioner’s Office – meglio nota come ICO, su questi fronti.

Se il prossimo futuro è dunque già tratteggiato, è ancora tutto da riempire. Monitoriamo il prosieguo, sarà fondamentale.

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