MERCATO DIGITALE

Nuova denuncia contro Amazon: la FTC contesta i dark patterns per l’iscrizione a Prime

Ancora guai legali per Amazon. Questa volta a finire sotto inchiesta da parte della Federal Trade Commission americana sono i “dark patterns”, ossia le soluzioni di web design create ad hoc per manipolare il comportamento degli utenti. Ecco gli impatti, anche alla luce della normativa europea

Pubblicato il 11 Lug 2023

Floriana Capone

Avvocato dell'ecommerce, Founder di Ecommerce Legale

amazon sanzione privacy

Il 21 giugno 2023, la Federal Trade Commission, l’agenzia federale degli Stati Uniti d’America creata per prevenire pratiche commerciali sleali e fraudolente, proteggere i consumatori dalle truffe e promuovere la libera concorrenza nel mercato, ha presentato una denuncia contro Amazon.com presso il Tribunale distrettuale degli USA per il distretto occidentale di Washington.

L’accusa è quella di utilizzare i cosiddetti dark patterns contro gli utenti, modelli di progettazione dell’interfaccia “manipolativi e coercitivi” che spingono l’utente a iscriversi al servizio Prime e ne ostacolano ardentemente la cancellazione.

Advertising digitale, l’Europa vuole cambiare le regole: ecco perché e come

Cosa sono i dark patterns nel web

Da anni ormai si sente parlare di dark patterns nel web, ma cosa sono concretamente?

Questo fenomeno rappresenta il “lato oscuro dell’arte del web design”, e in particolare della user experience.

I dark patterns (“schemi oscuri”, in italiano) sono tutte quelle soluzioni di interfaccia utente progettate per influenzare le scelte delle persone sul web e indurre gli utilizzatori di un sito o di un’app a compiere azioni che potrebbero non voler fare o che potrebbero essere svantaggiose per loro, e da cui il business può trarre vantaggio.

È bene distinguere nettamente tra le soluzioni di design che cercano di facilitare la navigazione, migliorare l’esperienza dell’utente sul sito e aumentarne il tasso di conversione, da quelle soluzioni anti-etiche e nella maggior parte dei casi illegali – che hanno proprio l’obiettivo di ingannare l’utente e fargli compiere un’azione (o impedirla) contro il suo volere.

Tipici esempi di dark pattern sono le “trick question“, ovvero domande formulate in modo da confondere l’utente e spingerlo a procedere in maniera indesiderata, oppure i “bait and switch“, ossia quando un’offerta o un prezzo viene presentato in modo ingannevole per poi essere cambiato in qualcosa di meno vantaggioso per il cliente.

La denuncia della FTC contro Amazon

La Federal Trade Commission ha denunciato Amazon accusando il colosso di Jeff Bezos di utilizzare dark patterns sia per spingere gli utenti a iscriversi al programma Prime, anche inconsapevolmente, sia per evitare che l’abbonamento venga disdetto.

Bisogna specificare che la Commissione della FTC presenta questo tipo di reclami solo quando ci sono fondati motivi di ritenere che ci sia stata o si stia per compiere una violazione di legge e il caso possa essere ritenuto di interesse pubblico.

Nel reclamo, curato dagli avvocati Jonathan Cohen, Olivia Jerjian, Max Nardini ed Evan Mendelson dell’Ufficio per la protezione dei consumatori, la FTC sostiene, inoltre, che Amazon abbia tentato di ritardare e ostacolare le indagini della Commissione in più casi e che lo stesso management del marketplace abbia rallentato o rifiutato le modifiche all’interfaccia perché avrebbero influito negativamente sui profitti dell’azienda.

Ma quali sono concretamente i dark patterns che FTC contesta ad Amazon?

L’iscrizione ad Amazon Prime

Secondo l’Agenzia, i clienti del marketplace si trovano costantemente “bombardati” da richieste di iscrizione ad Amazon Prime, tanto che in molti casi finiscono per cedere.

Il caso eclatante, però, riguarderebbe un pulsante ingannevole che gli utenti devono necessariamente utilizzare per completare una transazione d’acquisto, ma che in realtà confermerebbe anche la volontà di iscriversi all’abbonamento aggiuntivo, tra l’altro con rinnovo automatico.

Annullare l’abbonamento Prime

Ma non è tutto. L’altro dark pattern che, sempre secondo FTC, è stato studiato ad hoc da Amazon per influenzare il comportamento degli utenti è stato ribattezzato “Iliade”.

Si, perché proprio come nella estenuante guerra per la conquista di Troia raccontata nel poema di Omero, i clienti che vogliono disattivare l’abbonamento Prime si troverebbero di fronte ad una snervante battaglia contro i numerosi ostacoli posti dall’interfaccia del marketplace.

Lo scopo principale del suo processo di cancellazione Prime non era quello di consentire agli abbonati di annullare, ma di fermarli“, ha affermato la FTC, spiegando che gli utenti dovrebbero passare per 4 pagine, 6 click e quindici opzioni: un procedimento che disincetiverebbe chiunque dal procedere.

La reazione di Amazon

Ovviamente non è tardata ad arrivare la risposta di Amazon che ha definito “false per i fatti e per la legge” le accuse della FTC, sottolineando come gli utenti non lascino Prime grazie alla qualità dei servizi offerti da Amazon, e non a causa delle presunte difficoltà causate dall’interfaccia.

Ecco un passaggio della dichiarazione: “rendiamo chiaro e semplice per i clienti iscriversi o annullare la loro iscrizione a Prime … Come per tutti i nostri prodotti e servizi, ascoltiamo continuamente i feedback e cerchiamo modi per migliorare l’esperienza del cliente”.

Dark patterns e GDPR: linee guida EDPB per il mercato UE

Non solo negli States, la battaglia contro i dark patterns interessa da vicino anche l’Europa.

Infatti, il 14 febbraio u.s. l’European Data Protection Board ha adottato le nuove Linee Guida per contrastare l’utilizzo dei dark patterns da parte delle interfacce utilizzate dai cittadini dell’Unione.

Questo intervento è strettamente legato al rispetto della normativa privacy e, in particolare, del GDPR e rappresenta il primo vero vadevecum per sviluppatori e proprietari di piattaforme online su come mettere in pratica i principi del legal design con esempi pratici e istruzioni da seguire.

Infatti, quello che emerge con chiarezza dal GDPR è che un eventuale consenso al trattamento di dati personali raccolto con modalità ingannevoli – come nel caso dei dark patterns – non è vincolante per l’utente, in quanto rappresenterebbe un consenso non libero, ma estorto con raggiri.

Dark patterns e Digital Services Act

La questione dei “modelli oscuri” è complessa e non coinvolge solo il GDPR ma anche altre normative, come il Digital Services Act, il Regolamento europeo n. 2065/2022 sui servizi digitali.

Il Considerando 67 del DSA definisce i dark patterns come pratiche che distorcono o compromettono in misura rilevante, intenzionalmente o di fatto, la capacità dei destinatari del servizio di compiere scelte o decisioni autonome e informate. Tali pratiche possono essere utilizzate per convincere i destinatari del servizio ad adottare comportamenti indesiderati o decisioni indesiderate che abbiano conseguenze negative per loro”.

Così, l’art. 25 del DSA vieta espressamente ai fornitori di piattaforme di progettare, organizzare o gestire le loro interfacce online in modo tale da ingannare o manipolare gli utenti per falsare il loro comportamento e le loro decisioni.

Il divieto, pertanto, riguarda l’architettura dei siti web e delle piattaforme, intesa come il design o componenti visive e comunicative che spingono l’utente verso alcune scelte piuttosto che altre, sfruttando alcune leve psicologiche per rendere più facile far assumere una scelta – quella voluta dal titolare della piattaforma – piuttosto che un’altra.

Dark patterns e pratiche commerciali scorrette

Il fenomeno dei dark patterns rileva anche dal punto di vista della correttezza delle pratiche commerciali messe in atto nei confronti dei consumatori.

Il Codice del Consumo e, prima ancora, la direttiva europea sulle pratiche commerciali sleali vietano tutte quelle pratiche commerciali in grado di ingannare il consumatore o falsare il suo comportamento, in maniera tale da fargli compiere delle scelte che, senza tale pratica commerciale, non avrebbe compiuto.

Tra le pratiche commerciali sleali rientrano anche le pratiche commerciali aggressive, come per esempio la reiterazione di richieste che portano il consumatore ad assumere decisioni al solo fine di liberarsi dalla morsa delle richieste. Il dark pattern utilizzato per tale fine è definito “overloading”. Altro dark pattern che rileva come pratica commerciale aggressiva è definito come “confirm shaming”: questa modalità fa leva su emozioni spiacevoli come il senso di colpa o la vergogna, per influenzare il processo decisionale degli utenti.

In quest’ottica, dunque, i dark patterns intesi come modelli oscuri di progettazione rilevano anche come pratiche commerciali scorrette quando sono in grado di ottenere le conseguenze tipiche di ogni altra pratica commerciale scorretta.

Proprio sulle pratiche commerciali scorrette è da ultimo intervenuta anche la Direttiva Omnibus, la direttiva che si pone l’obiettivo di uniformare la tutela dei consumatori europei, la quale ha innalzato il massimo edittale delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette fino a 10 milioni di euro.

Ovviamente le aziende italiane che più o meno consapevolmente utilizzano questi mezzi per aggirare le prescrizioni normative corrono rischi enormi che vanno dalle ingenti sanzioni pecuniarie fino alla perdita di reputazione.

Per questo in tema di web, dark patterns e tutela dei dati personali è sempre bene lasciarsi affiancare da un legale specializzato che possa indicare una rotta certa da seguire e lasciare agli imprenditori tempo e spazio per occuparsi del business.

Intanto, continueremo a seguire con interesse l’evolversi del processo contro Amazon.

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