L'APPROFONDIMENTO

Digital marketing post-cookie di terze parti: le raccomandazioni di IAB con un occhio alla privacy

IAB Europe ha pubblicato la terza edizione della sua guida al marketing digitale, che aiuta gli operatori del settore – e non solo – a capire dove si sta spostando il mercato e quali strumenti non potranno più essere usati o raggiunti e quali potranno costituire un nuovo riferimento, senza dimenticare le questioni privacy

Pubblicato il 18 Mar 2022

Andrea Michinelli

Avvocato, FIP (IAPP), ISO/IEC 27001, Of counsel 42 Law Firm

Cookie digital advertising

IAB Europe (divisione europea dell’importante associazione di settore Interactive Advertising Bureau) arriva in marzo alla terza edizione della sua autorevole guida al marketing digitale Guide to the Post-Third-Party Cookie Era, dopo l’esordio nel maggio 2020 e il primo aggiornamento del 2021.

Una guida specificamente tarata sull’ecosistema in evoluzione del digital marketing, scosso dalla transizione “forzata” dal pregresso, smodato uso dei cookie di terze parti fino al nuovo scenario del 2023, quando persino Chrome abbandonerà – pare – questi strumenti.

La pubblicazione IAB aiuta tutti gli operatori del settore – e non solo – a capire dove si sta spostando il mercato, quali strumenti e risultati di marketing non potranno più essere usati o raggiunti e quali potranno costituire un nuovo riferimento.

Al contempo, IAB non dimentica di segnalare il “convitato di pietra” del suo studio: le questioni privacy in gioco nella rivoluzione del tracking degli utenti, a complicare potenzialmente la pura efficacia delle varie soluzioni proposte. Dovendosi sempre confrontare – almeno in Europa – con i principi del GDPR e la Direttiva ePrivacy: se tracciamento ancora dovrà essere, sarà rispettoso di trasparenza, consensi e adempimenti di legge?

Ricordiamo che, pure per averlo trattato più volte in questo contesto, la “crisi” attuale del digital marketing trova in radice il blocco progressivo dei cookie di terze parti da parte dei browser, sì da doversi ricercare nuove soluzioni tecniche alternative, tali da garantire risultati almeno simili a quelli dei cookie. Al contempo usando sempre meno dati personali degli utenti.

Gli effettivi aggiornamenti nella Guida, rispetto all’ultima versione, non sono tanti né decisivi, ragion per cui riassumeremo di seguito l’intero percorso del testo (curato dai tanti esperti del Programmatic Trading Committee (PTC) di IAB Europe), per sottolinearne caso per caso gli ultimissimi cambiamenti.

In soldoni, la Guida cerca di rispondere ai pressanti quesiti degli operatori: che cosa viene attualmente sviluppato nel settore e quali soluzioni alternative si possono adottare? Come gli operatori del settore possono contribuire? Come vagliare gli strumenti che sfruttano forme di identificazione (ID) degli utenti? A tutto questo cerca di rispondere IAB con numerosi esempi e proposte.

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Le premesse del cambiamento

All’esordio della sua Guida, IAB riannoda i fili circa i fattori che stanno portando all’esaurimento dell’era dei cookie di terze parti:

  • gli ad-blocker: plugin che impediscono la visualizzazione degli annunci, oltre ad ostacolare la profilazione e gli script di tracciamento; nella Guida si menziona il fatto poco noto che spesso sono gli antivirus a filtrare il traffico web e installare estensioni anti-tracking, nemmeno facili da disattivare;
  • i browser: tool di navigazione tuttora fondamentale per gli utenti, sono i “gatekeeper” del settore, pur considerato che nemmeno proposte come il Digital Markets Act paiano inquadrarli nell’apposita definizione e ruolo, appunto, di gatekeeper; sono sempre più dediti anch’essi al blocco o all’ostacolo di pratiche identificative e di tracking, riportati nelle pagine di aggiornamento della Guida; citiamo ad es. Safari di Apple (ricco di continue, aggiornate funzionalità per nascondere i dati utente a chi cerca di effettuare operazioni di tracking) oppure Mozilla Firefox (molti gli aggiornamenti mirati a impedire il tracciamento cross-site, oltre a sperimentare nuove iniziative che permettano l’advertising mirato preservando la privacy, come l’”advertising attributionproposta da IPA);
  • infine il contesto giuridico; non parliamo solo del già citato e vigente GDPR, di Direttiva ePrivacy (nella Guida si omette peraltro di menzionare quanto sta accadendo in merito al framework TCF proprio di IAB), bensì di imminenti nuove norme citate e aggiornate in questa terza edizione: affrontando altri lidi, si citano importanti normative extra UE come il CPRA (Consumer Privacy Right Act) californiano o la LGPD (Lei Geral de Proteção de Dados) brasiliana, il pluri-rimandato Regolamento ePrivacy di riforma della Direttiva ePrivacy, il Digital Markets Act – tutti con riflessi di varia ampiezza sullo scenario del marketing digitale), le imminenti nuove pronunce di autorità (l’ICO britannica sta indagando da tempo sulle proposte emergenti del Google Privacy Sandbox e una sua disamina critica potrebbe arrestare o perlomeno complicarne l’entrata a regime, come già accaduto peraltro al suo componente FLoC che pare ora soppiantato dalla nuova proposta Topics).

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Piattaforme targeting: impatto su metriche e verifica degli annunci

A fronte di ciò, IAB dedica un capitolo al tema delle “piattaforme proprietarie”, cioè quelle piattaforme che non rientrano nel corrente meccanismo del Real Time Bidding, consentendo l’uso di media, dati o opportunità di acquisto comunque mirati a un utente specifico. “In un ecosistema senza cookie di terze parti, le piattaforme proprietarie possono essere in grado di offrire un targeting basato su una notevole quantità di dati di prima parte direttamente identificabili”, afferma IAB nel testo. Con un sempre crescente utilizzo di dati di prima parte, raccolti da utenti davvero interessati a quanto offerto dalle piattaforme visitate, si può ottenere una maggiore qualità e certezza.

Tra gli ambiti più sofferenti dei cambiamenti in corso troviamo sicuramente la difficoltà nel misurare l’efficacia di un annuncio, essendo largamente basata proprio sull’uso dei cookie di terze parti. Vi sono diverse alternative da vagliare, IAB nella Guida ne menziona ad es. l’uso di sondaggi (“polling”), le partnership tra publisher, reti e società di misurazione per abbinare l’esposizione passiva ai dati degli intervistati (così da concretizzare una misurazione “cross-publisher e cross-device”) eccetera.

Essendo il criterio “deterministico” sempre più da abbandonare (cioè la sicura identificazione dell’utente e la misurazione passiva delle sue reazioni rispetto agli annunci), si discute di adottare maggiori criteri “probabilistici” sulle reazioni utente.

Si tratta di un cantiere aperto, ove diverse soluzioni – anche combinate tra loro – potranno farsi strada nell’immediato futuro. In ogni caso, è evidente che il grado di precisione delle misurazioni fin qui adottate rischia di abbassarsi notevolmente, risultato inesorabile della ridotta identificabilità dell’utente.

Costituisce un nuovo paragrafo della versione 2022 della Guida quello dedicato all’attribuzione. Il punto è consequenziale e influenzato dalle modalità di misurazione. Come attribuire, senza i cookie, la frequenza con cui ogni utente è stato esposto a una campagna? Nel documento si dice che gli inserzionisti dovranno testare e provare nuovi modelli, o una loro combinazione, per ottenere un risultato significativo su come le loro campagne stanno influenzando gli utenti.

Segnalando che “l’aumento della frammentazione dei dati renderà l’attribuzione ancora più difficile e senza un accordo all’interno del settore o con gli editori, gli inserzionisti faranno più fatica di quanto non facciano ora per dare un senso all’impatto delle loro campagne”.

In merito, il documento menziona i consorzi di adtech ed editori per costruire nuovi identificatori basati su e-mail “hashate”, oppure l’iniziativa Privacy Sandbox di Google.

Principali alternative a disposizione degli inserzionisti

Venendo alle macro-categorie di mezzi adottabili per stabilire un contatto con il pubblico, il documento di IAB ne propone tre: soluzioni basate sull’identità, uso di altri dati disponibili per il targeting, intelligence contestuale.

Partiamo con la prima e di maggior impatto, cioè le soluzioni basate sull’identità: l’uso di identificatori utente, utili per poter fare misurazioni e proporre pubblicità profilata, non sarà abbandonato, piuttosto riformulato rispetto a certi usi troppo invasivi, afferma IAB; premesso che all’ecosistema interessa il singling-out (cioè la distinzione di un soggetto specifico in un gruppo, in base a determinate caratteristiche, piuttosto che la precisa identificazione con nome e cognome di quel soggetto), si avrà una prevalente pseudonimizzazione rispetto all’uso di dati in chiaro, un approccio più probabilistico che deterministico, identificatori meno persistenti se non “usa-e-getta” (dinamico); è nota da tempo la controffensiva di Apple contro gli identificatori persistenti dei dispositivi come l’IDFA in ambiente iOS.

L’uso dei DB in CRM e delle email utente viene “rispolverato” come valida nuova frontiera, visto l’uso crescente e quasi obbligato di dati di prima parte, pur esteso dal tradizionale uso per fidelizzazione, customer care, ecc. a quello di potenziale fonte di identificatori.

Ovviamente le potenziali criticità privacy non mancano, specie quanto alla trasparenza e ai consensi specifici degli utenti per questi utilizzi dei propri dati, sebbene si tratti del tema menzionando ripetutamente l’hashing e dunque di pseudonimizzazione dei dati di partenza per generare gli identificatori.

Un paragrafo è riservato all’uso dei dati di prima parte delle TelCo come ulteriore fonte di identificatori utente: sicuramente una fonte interessante ma che lascia vari dubbi sulla sua applicabilità in maniera conforme al GDPR, specie sotto il profilo della trasparenza; da ultimo IAB menziona progetti comuni per la creazione e condivisione di identificatori online (debitamente crittografati ecc.), come lo stesso IAB Tech Lab Rearc, facendo sorgere alcuni dubbi su eventuali API ed protezione dell’identità effettiva degli utenti, oltre al grado effettivo di invasività nel tracking che comunque viene perpetuato.

Tra i maggiori aggiornamenti dell’ultima versione della Guida troviamo i criteri di valutazione dei provider di identificatori. Erano già stati varati in precedenza, in forma di Q&A, per aiutare nel processo selettivo, ora sono stati accresciuti da nuove domande mirate, maggiormente dedicate alla protezione dei dati, a dimostrare una maggiore sensibilità al tema, pur formale. Vediamo alcune:

  • La progettazione tecnica del fornitore è in conflitto con le proposte dei fornitori di browser che mirano a mitigare il tracciamento cross-site, il fingerprinting o il monitoraggio a livello di rete (ad es. il tacking da parte di un servizio VPN o del fornitore ISP)?
  • Come viene abilitata la protezione della privacy? Esistono soluzioni brevettate con comprovate applicazioni?
  • La soluzione proposta corrisponde alla Tracking Prevention Policy proposta dal W3C?
  • Quanto è accurato il targeting? È deterministico o probabilistico?
  • Interoperabilità: la soluzione ID è autonoma o funziona in combinazione con altri ID autenticati? Quanto è flessibile la soluzione offerta?
  • Quanto è “robusta” la soluzione offerta, qualora si verificassero ulteriori modifiche all’ecosistema del programmatic advertising o del regime normativo?
  • Quanto è facile per il consumatore comprendere e gestire come vengono utilizzati i propri dati?

Targeting con altri dati disponibili e contestuale

Volendo continuare sul tema della targetizzazione basata su dati diversi dagli identificatori, IAB menziona l’engagement o l’exposure, come ad es. l’impatto nella presentazione di un annuncio. Va detto che – alla fin fine – si arriva a descrivere un processo che lega i vari dati raccolti tramite pagine web, browser e aste siano comunque collegati a uno user ID, pur “hashato”. Sebbene si precisi che in aree di applicazione del GDPR sarebbe “azzerato” tale ID, non si entra ulteriormente nel dettaglio.

Il contextual advertising è citato nella sua evoluzione, oggi prevede l’incorporazione di metodi statistici avanzati, machine learning e analisi semantica, con il potenziale per fornire una classificazione dei contenuti davvero precisa. Così da indirizzare argomenti appropriati e persino il “sentiment” associabile ai contenuti.

Il vantaggio indubbio di questa tipologia di advertising riposa nel non utilizzare affatto dati personali, basando tutto sull’analisi e sfruttamento dei contenuti delle pagine web per stabilire gli annunci di maggiore interesse del navigatore. Tanto più quando vi si applicano tecnologie di ultima generazione come l’NLP (Natural Language Processing) avanzata, l’efficacia nel targeting può essere elevata quanto, se non superiore, a quella effettuata tramite cookies.

Tuttavia la maggiore efficacia, dice IAB, è riservata al combinato tracciamento cross-site – e ritorniamo all’uso di identificatori –, per misurare cosa sia accaduto all’utente lasciando la pagina web.

Sono infine presentate da IAB cinque domande per gli inserzionisti, da porsi nell’usare marketing contestuale e per misurarne il successo:

  • Si stanno usando termini “tattici” per migliorare la portata e la pertinenza della campagna?
  • Ci si sta assicurando che il proprio marchio sia protetto da ambienti “nocivi” (ad es. polemiche con effetti sulla web reputation)?
  • Si stanno costruendo segmenti appropriati e personalizzati utili per l’approccio contestuale, che si allineano con la unicità del proprio marchio e gli obiettivi specifici delle campagne?
  • Si stanno utilizzando partner per il contextual advertising tali da automatizzare i segmenti in real time?
  • Si sta ottimizzando e ampliando la creatività delle proprie campagne?

L’unione fa la forza

Il documento si chiude con l’invito agli operatori nel fare “squadra”, in quanto stakeholder che possono contribuire in vari gruppi di interesse e in progetti a sostegno dello scenario a venire.

Tra i tanti menzionati nella Guida richiamiamo qui il noto W3C, cioè il World Wide Web Consortium, comunità internazionale che sviluppa “specifiche tecniche e standard aperti per garantire la crescita a lungo termine del Web”, ad es. mediante la discussione e l’approvazione della comunità W3C alle iniziative via via sviluppate. Esempip noto ne è proprio il Google Privacy Sandbox e relative API. Il recente Private Advertising Technology Community Group è un altro punto di incontro in cui verranno discusse le proposte per l’advertising e in cui provider di browser, fornitori adtech, inserzionisti e marketer possono discutere le soluzioni in ballo.

La guida si chiude con un breve riepilogo, attestando il travagliato e turbolento periodo che il settore deve affrontare. La crescente e sempre più pressante necessità di proteggere – e sempre meglio – la privacy dell’utente si esemplifica citando una ricerca britannica del 2020 per cui “il 94% dei consumatori affermi che la privacy dei dati online è molto importante”.

Una chiusura privacy-oriented

Si sarà notato che spesso e volentieri nel documento torna e ritorna il tema degli identificatori online, – pure in ambiti di per sé privi come il contextual – per unire certi risultati con l’imperante bisogno di effettuare comunque misurazioni e tracking del comportamento utente.

Certo, si ribadisce più volte che gli identificatori oramai saranno perlomeno pseudonimizzati (perlopiù tramite hashing): sarà sufficiente? Se ne può dubitare: il dato pseudonimizzato risultante è comunque un dato personale ai sensi del GDPR, trattamenti come quelli disaminati da IAB paiono attuabili perlopiù con specifici consensi che finora sono mancati o sono stati affogati in trattamenti privi di granularità e specificità informativa.

Dall’altra parte abbiamo grandi player come Google, per cui si può dubitare che un dato – pur se trattato con adeguato algoritmo di hashing – che finisca nel dominio di tali detentori di big data non possa essere re-identificato con relativa facilità.

Dunque si badi: il documento di IAB è una preziosa bussola di orientamento nel mercato attuale del digital advertising, il mercato necessita di guide e approfondimenti dettagliati come questi da parte di esperti del settore, e va lodato l’incoraggiamento rivolto agli stessi operatori nel mettersi in gioco, a partecipare alla definizione dei nuovi scenari.

Solo si consideri che parlando sì di maggior tutela della privacy utente, a volte in modo un po’ disinvolto come rinvenuto nel documento di IAB, come un tema apparentemente di relativa facile soluzione tramite identificazione “hash-based”, si rischia di far passare una semplificazione delle complessità esistenti. Nel testo si parla spesso di “combinare” varie soluzioni, scenario non certo indolore né facile da valutare nei possibili effetti (ad es. il mix potrebbe portare a una maggior possibile re-identificabilità di dati pseudonimizzati).

Garantire risultati e attività – come quelle di misurazione e tracking – simili a quelle frutto del “mondo di ieri” dei cookie di terze parti sarà davvero possibile? Basti ricordare che i problemi di data protection stanno stroncando diverse nuove proposte (si veda la recente sorte di FLoC di Google).

E tutto ciò senza tirare in ballo un tema caldissimo, cioè il trasferimento di dati extra-UE, specie negli USA, che sta tuttora falcidiando l’utilizzabilità di strumenti comuni come Google Analytics e persino Fonts. Non casualmente proprio giocando sul profilo dei dati pseudonimizzati, di indirizzi IP mascherati insufficienti nel rispetto delle tutele normativa perché – alla resa dei conti – costante mezzo di identificazione degli utenti. Lo stesso problema riposa nelle tante soluzioni illustrate da IAB nella sua Guida.

Rispetto al passato, ad anni in cui strumenti di tracking oggi censurati hanno impazzato e di fatto creato un mercato e un ecosistema oggi insostenibili, l’opinione pubblica presenta una maggiore consapevolezza e resistenza e le autorità (europee e non) paiono più decise nel voler girare pagina. Ne dovrà tenere conto tutto l’ecosistema proprio e ancor più in questa fase, nel gettare migliori nuove basi su cui edificare la prossima era del digital advertising. Speriamo più “privacy friendly”.

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