Analizzato l’impatto trasformativo della Direttiva NIS 2 sui fondamenti teorici della responsabilità 231, il terzo capitolo dell’esalogia esamina l’architettura operativa del nuovo sistema di compliance.
Per oltre 20.000 organizzazioni italiane, l’attuazione del decreto NIS segna un passaggio epocale: la cyber security smette di essere materia tecnica per addetti ai lavori e diventa responsabilità diretta del top management, inserita in processi strutturati di gestione del rischio. Il nuovo quadro normativo genera un ecosistema di complessità senza precedenti.
L’arsenale sanzionatorio previsto dalla NIS 2, sommato alle sanzioni 231, introduce per i soggetti essenziali e importanti una pressione deterrente capace di cambiare radicalmente la logica dei costi-benefici.
La compliance non è più un’opzione strategica, ma una condizione di sopravvivenza organizzativa.
Indice degli argomenti
Dal paradigma alla prassi operativa
Nel mio precedente contributo ho analizzato come la Direttiva NIS 2 sembra aver rivoluzionato i fondamenti teorici della responsabilità amministrativa degli enti che rivestono il ruolo di soggetti essenziali o importanti, trasformando il principio della “colpa di organizzazione” da criterio flessibile a standard semi-oggettivo.
Ora è necessario approfondire come questa rivoluzione trasformativa si traduca in concreto nell’architettura operativa della compliance aziendale.
La NIS 2 e il relativo decreto di recepimento non si limitano a definire principi generali, ma prescrivono un vero e proprio sistema operativo della cyber security aziendale, caratterizzato da obblighi strutturati, controlli gerarchizzati e meccanismi di accountability che investono direttamente la responsabilità degli organi di vertice.
A me sembra che questa architettura operativa non possa non produrre effetti diretti sui modelli organizzativi 231, richiedendo una riprogettazione completa dei sistemi di controllo e delle procedure aziendali.
Responsabilità diretta del top management
Uno degli aspetti più rivoluzionari della NIS 2 riguarda la strutturazione della governance aziendale della cyber security.
L’articolo 20 della Direttiva e l’art. 23 del decreto di recepimento impongono agli organi di gestione dei soggetti essenziali e importanti di:
- approvare formalmente le misure di gestione dei rischi di cyber sicurezza;
- supervisionare attivamente l’implementazione di tali misure;
- partecipare a programmi di formazione specifici sulla cyber security;
- garantire risorse adeguate per l’attuazione delle misure previste.
Questi obblighi trasformano la cyber security da tema tecnico-specialistico a responsabilità diretta del top management, con evidenti implicazioni dirette sulla configurazione della responsabilità 231.
La violazione di questi doveri non genera più soltanto responsabilità di natura tecnica o amministrativa, ma può anche essere la condizione per la configurabilità della responsabilità 231 dell’ente ai sensi dell’art. 24-bis.
L’integrazione con i sistemi di controllo interno
La governance NIS 2 deve integrarsi necessariamente con l’architettura dei controlli interni prevista dal sistema 231. È plausibile sostenere che ora gli Organismi di Vigilanza sono chiamati a:
- monitorare l’adeguatezza delle misure di cyber security approvate dal management;
- verificare l’effettiva implementazione dei processi di risk management;
- supervisionare la formazione degli organi di vertice in materia di cyber security;
- controllare l’allocazione delle risorse destinate alla sicurezza informatica.
Questa integrazione richiede competenze specialistiche che spesso eccedono il bagaglio di competenze tradizionale degli Organismi di Vigilanza. Tutto lascia intendere, quindi, che sia necessaria una riqualificazione professionale o l’integrazione di expertise esterne.
Il nuovo framework obbligatorio di analisi del rischio
La NIS 2 prescrive l’adozione di processi strutturati di gestione del rischio cyber che devono includere:
- analisi sistematica dei rischi: identificazione, valutazione e prioritizzazione delle minacce informatiche specifiche dell’organizzazione, che possono essere efficacemente attraverso metodologie standardizzate e criteri oggettivi di valutazione;
- implementazione di contromisure proporzionate: adozione di misure tecniche e organizzative adeguate ai rischi identificati, con documentazione dettagliata delle scelte implementative dei vertici dell’organizzazione e delle loro motivazioni;
- monitoraggio continuo: sorveglianza costante dell’efficacia delle misure implementate e dell’evoluzione del panorama delle minacce, attraverso sistemi automatizzati di rilevamento e risposta;
- aggiornamento periodico: revisione sistematica delle misure in funzione delle nuove minacce e vulnerabilità, con tempistiche definite e procedure formalizzate di change management.
L’impatto sui modelli organizzativi 231
I processi appena descritti non sono più semplici best practice facoltative: rappresentano ormai obblighi vincolanti per le organizzazioni destinatarie della normativa NIS.
La loro violazione configura inadempimento normativo con effetti diretti sulla responsabilità ex D.lgs. 231/2001; e se è vero – come è vero – che tali effetti si producono, allora i modelli organizzativi 231 non potranno che essere ripensati e rafforzati includendo:
- procedure standardizzate di risk assessment cyber;
- protocolli di implementazione delle contromisure identificate;
- sistemi di monitoraggio dell’efficacia delle misure adottate;
- processi di aggiornamento periodico delle valutazioni di rischio.
Appare verosimile che la mancata adozione o l’inadeguata implementazione di questi processi comporti automaticamente la presunzione di inadeguatezza del modello organizzativo, con conseguente responsabilità amministrativa dell’ente.
L’arsenale sanzionatorio della NIS 2: deterrenza massima e effetto sistemico
La Direttiva NIS 2 ha inaugurato un sistema sanzionatorio senza precedenti nel panorama europeo della cyber security.
L’art. 38 del D.lgs. 138/2024 prevede infatti sanzioni amministrative pecuniarie di entità straordinaria:
- per i soggetti essenziali, fino a 10 milioni di euro o al 2% del fatturato mondiale annuo;
- applicando il criterio del maggiore;
- per i soggetti importanti, fino a 7 milioni di euro o all’1,4% del fatturato mondiale annuo, sempre scegliendo l’importo più elevato.
Queste sanzioni si aggiungono – non si sostituiscono – alle sanzioni previste dal sistema 231, creando un effetto moltiplicatore che può portare a conseguenze economiche devastanti per gli enti che non garantiscono la piena conformità.
L’effetto domino sulla responsabilità penale
La combinazione tra sanzioni amministrative NIS 2 e responsabilità 231 crea dinamiche sanzionatorie di complessità inedita.
Così, per esempio, la commissione di un reato informatico previsto dall’art. 24 bis della 231, sussistendo le condizioni fissate dall’art.5, in un contesto operativo non conforme al framework disegnato dal decreto NIS, potrebbe comportare:
- sanzioni amministrative per violazione degli obblighi posti dalla NIS 2;
- responsabilità amministrativa dell’ente;
- responsabilità civile per danni causati a terzi;
- conseguenze reputazionali derivanti dalla pubblicità delle sanzioni.
Si tratta di un vero e proprio effetto domino che trasforma radicalmente l’analisi costi-benefici degli investimenti in cyber security e che rende, quindi, la compliance non più una scelta strategica ma una necessità “esistenziale” per l’ente.
Il nuovo ordine della responsabilità digitale
L’analisi dell’architettura operativa della NIS 2 conferma come questa normativa rappresenti una trasformazione sistemica che ridefinisce completamente il panorama della compliance aziendale in ambito cyber security.
La strutturazione di obblighi cogenti di governance, l’introduzione di processi vincolanti di risk management e l’implementazione di un arsenale sanzionatorio di severità inedita configurano un ecosistema normativo che non ammette improvvisazioni o approcci superficiali.
Risulta coerente ritenere che oggi le imprese chiamate ad applicare il decreto NIS si trovano di fronte alla necessità di riprogettare completamente i propri sistemi di controllo interno, integrando in modo organico gli obblighi NIS 2 con i modelli organizzativi 231.
Questa integrazione richiede competenze multidisciplinari, investimenti significativi e un commitment del top management che va ben oltre la tradizionale gestione del rischio d’impresa. La strada dell’adeguamento, tuttavia, non è priva di opportunità.
L’onerosità degli obblighi NIS 2, se affrontata con approccio sistematico e visione strategica, può trasformarsi in vantaggio competitivo, creando sistemi di governance e controllo che non solo garantiscono compliance normativa, ma generano anche efficienza operativa e resilienza organizzativa.
Certamente le scelte che le aziende faranno nei prossimi mesi determineranno la loro capacità di prosperare nel nuovo ordine della responsabilità digitale.
Nel prossimo contributo entreremo nel vivo dell’implementazione pratica, proponendo alle imprese una roadmap operativa concreta per affontare il nuovo panorama della responsabilità digitale, analizzando modelli organizzativi di nuova generazione, best practice emergenti e strategie innovative che possono trasformare l’integrazione NIS 2-231 da sfida normativa in vantaggio competitivo sostenibile.











