L'approfondimento

Alla ricerca dell’equilibrio tra copyright e protezione dati: perché manca una soluzione univoca

Una sentenza del luglio 2020 della Corte di giustizia europea offre una chiave di interpretazione della nozione di “indirizzo” che mette in luce il rapporto complesso tra copyright e protezione dati: l’analisi del contenzioso permette di approfondire il dibattito

Pubblicato il 23 Dic 2020

Rosa Mosca

IP specialist - Rödl & Partner

Giustizia digitale

Il bilanciamento tra copyright e protezione dei dati personali non risulta immediato e frutto di un semplice conto matematico, ma necessita di diversi approfondimenti legali ed etici.

Ad oggi, purtroppo, non è stata fornita una soluzione univoca e precisa anche per via del continuo sviluppo tecnologico che apre sempre nuovi orizzonti.

Per analizzare la questione, è interessante fare riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea del luglio 2020 ha trattato il tema, approfondendo se email, IP e numeri di telefono di utenti che hanno caricato su YouTube video di terzi rientrino tra le informazioni che possono essere mostrate oppure no.

La sentenza della Corte di Giustizia Europea

Il 9 luglio scorso, la Corte di Giustizia Europea (“CGUE”) ha pronunciato sentenza nella causa C-264/19 – Constantin Film Verleih contro YouTube e Google Inc. – relativa alla domanda pregiudiziale proposta alla stessa, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania).

La sentenza muove da una una riflessione: gli indirizzi e-mail, i numeri di telefono e gli indirizzi IP utilizzati da utenti (che senza la necessaria autorizzazione hanno caricato sulla piattaforma di video sharing “YouTube” opere audiovisive di terzi – i.e della Costantin Film) rientrano tra le informazioni che possono essere mostrate secondo l’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2004/48/CE?

La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Constantin Film Verleih GmbH, società distributrice di film con sede in Germania, e, dall’altro, YouTube LLC e Google Inc., con sede negli Stati Uniti, in merito alle informazioni richieste dalla Constantin Film Verleih a queste due società riguardanti gli indirizzi di posta elettronica, gli indirizzi IP e i numeri di telefono cellulare di utenti che hanno commesso violazioni dei suoi diritti di proprietà intellettuale.

L’antefatto

Infatti, alcuni utenti caricavano sulla piattaforma di condivisione video online YouTube le versioni integrali di due film distribuiti dalla società tedesca Constantin Film Verleih GmbH (“Constantin”). Ciò, senza alcuna autorizzazione e quindi in violazione della normativa in materia di diritto d’autore.

La Constantin – esercitando il diritto d’informazione di cui all’art. 8 paragrafo 2, lettera a), della Direttiva n. 2004/48 del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (“Direttiva”), che permette di conoscere, tra le altre, le informazioni dell’autore ed in particolare il nome e indirizzo – chiedeva quindi a YouTube e a Google presso il Tribunale Tedesco di indicarle i dati personali degli utenti artefici delle menzionate violazioni.

Tra questi, chiedeva di avere accesso ai nomi utente e agli indirizzi postali degli interessati, oltre a dati aggiuntivi quali: indirizzi e-mail e numeri di telefono dei singoli utenti, indirizzi IP utilizzati per il caricamento dei video e per l’accesso più recente all’account correlato. Google si opponeva alla divulgazione di tali dati, per ragioni di privacy (sic!) e la Constantin si vedeva quindi costretta ad adire il giudice tedesco.

Le prime decisioni e il ricorso

In primo grado, le richieste della Constantin venivano respinte. Con la sua sentenza del 3 maggio 2016, il Landgericht Frankfurt am Main (Tribunale del Land, Francoforte sul Meno, Germania) ha respinto la domanda della Constantin Film Verleih. Diversa sorte ha invece avuto il successivo giudizio di appello, in cui la Corte d’appello ha autorizzato la comunicazione degli indirizzi di posta elettronica, ma non anche degli altri dati richiesti.

Per contro, su appello di quest’ultima, con sentenza del 22 agosto 2018, l’Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale superiore del Land, Francoforte sul Meno, Germania) ha accolto parzialmente la domanda della Constantin Film Verleih, e ha condannato YouTube e Google a fornirle gli indirizzi di posta elettronica degli utenti di cui trattasi.

Con il suo ricorso per Revision (Cassazione), proposto dinanzi al giudice del rinvio, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania), la Constantin Film Verleih persisteva nelle sue domande dirette a ottenere la condanna di YouTube e di Google nonché a fornirle i numeri di telefono cellulare nonché gli indirizzi IP degli utenti di cui trattasi.

Peraltro, anche YouTube e Google, attraverso proprio ricordo in Cassazione, chiedevano il rigetto integrale della domanda della Constantin Film Verleih, anche nella parte in cui la stessa riguardava la comunicazione degli indirizzi di posta elettronica degli utenti di cui trattasi.

Il giudice del rinvio riteneva che l’esito di questi due ricorsi per Revision dipendesse dall’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48 e, in particolare, dalla risposta alla questione se le informazioni supplementari richieste dalla Constantin Film Verleih rientrino nel termine «indirizzo», ai sensi di tale disposizione.

In tale contesto, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

  • Se gli indirizzi dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi, nonché dei grossisti e dei dettaglianti di cui all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2004/48], ai quali si estendono le informazioni di cui all’articolo 8, paragrafo 1, della medesima direttiva, riguardino anche, se del caso:
  1. gli indirizzi e-mail degli utenti dei servizi e/o
  2. i numeri di telefono degli utenti dei servizi e/o
  3. gli indirizzi IP utilizzati dagli utenti dei servizi per caricare file lesivi di un diritto, nonché l’ora esatta del caricamento.
  • In caso di soluzione affermativa della prima questione sub c):
  1. se le informazioni da fornire ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2004/48] riguardino anche l’ultimo indirizzo IP utilizzato dall’utente, che in precedenza ha caricato file lesivi di un diritto, per accedere al proprio account Google/YouTube, nonché l’ora esatta dell’accesso, indipendentemente dal fatto che durante tale ultimo accesso siano state commesse violazioni [della proprietà intellettuale].

La sentenza

Con decisione del 21 febbraio 2019, pervenuta in cancelleria il 29 marzo 2019, la CGUE, sezione V, ha dichiarato che l’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, dev’essere interpretato nel senso che la nozione di “indirizzo” ivi contenuta non si riferisce, per quanto riguarda un utente che abbia caricato file lesivi di un diritto di proprietà intellettuale, al suo indirizzo di posta elettronica, al suo numero di telefono nonché all’indirizzo IP utilizzato per caricare tali file o all’indirizzo IP utilizzato in occasione del suo ultimo accesso all’account utente.

Pertanto, il termine “indirizzo” contenuto nella Direttiva 2004/48/CE riguarda unicamente l’indirizzo postale fisico, vale a dire il luogo di domicilio o di residenza di una determinata persona.

Tale termine non si riferisce e non può estendersi, invece, all’indirizzo di posta elettronica, al numero di telefono o all’indirizzo IP, ancorché utilizzati per fini illeciti (es., come nel caso in esame, per caricare file senza autorizzazione).

L’analisi: la normativa di riferimento

Infatti, la CGUE chiarisce in via preliminare che, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2004/48, gli Stati membri assicurano che, nel contesto dei procedimenti riguardanti la violazione di un diritto di proprietà intellettuale e in risposta a una richiesta giustificata e proporzionata del richiedente, l’autorità giudiziaria competente possa ordinare che le informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi che violano un diritto di proprietà intellettuale siano fornite dall’autore della violazione e/o da ogni altra persona che sia stata sorpresa a fornire su scala commerciale servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto.

L’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48 precisa che le informazioni di cui al paragrafo 1 di tale articolo comprendono, ove opportuno, nome e indirizzo dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi, nonché dei grossisti e dei dettaglianti.

Dall’analisi di tale articolo, la Corte sostiene che gli Stati membri devono garantire che le autorità giudiziarie competenti possano, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, ordinare al gestore della piattaforma online di fornire il nome e l’indirizzo di qualsiasi persona che abbia caricato su tale piattaforma un film senza il consenso del titolare del diritto d’autore.

La diatriba sulla nozione di indirizzo

Tuttavia, per quanto riguarda la questione se la nozione di «indirizzo», ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48, includa anche gli indirizzi di posta elettronica, i numeri di telefono e gli indirizzi IP di tali persone, occorre rilevare che, poiché tale disposizione non contiene alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per la determinazione del suo senso e della sua portata, la nozione di «indirizzo» costituisce una nozione di diritto dell’Unione che deve normalmente dar luogo, nell’intera Unione, a un’interpretazione autonoma e uniforme. Sempre la corte argomenta sostenendo quanto segue:

  • per quanto riguarda, in primo luogo, il senso abituale del termine «indirizzo», occorre constatare che, nel linguaggio corrente, esso riguarda unicamente l’indirizzo postale, vale a dire il luogo di domicilio o di residenza di una determinata persona. Ne consegue che tale termine, qualora, come all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48, sia utilizzato senza ulteriori precisazioni, non si riferisce all’indirizzo di posta elettronica, al numero di telefono o all’indirizzo IP;
  • in secondo luogo, dall’esame di altri atti di diritto dell’Unione che fanno riferimento all’indirizzo di posta elettronica o all’indirizzo IP emerge che nessuno di essi utilizza il termine «indirizzo», senza ulteriori precisazioni, per designare il numero di telefono, l’indirizzo IP o l’indirizzo di posta elettronica.

La Corte prosegue, sostenendo che occorre rilevare che la direttiva 2004/48 ha lo scopo di stabilire un equilibrio tra, da una parte, l’interesse dei titolari alla tutela del loro diritto di proprietà intellettuale, sancita all’articolo 17, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, e, dall’altra, la tutela degli interessi e dei diritti fondamentali degli utenti di materiali protetti nonché dell’interesse generale.

Per quanto più specificamente riguarda l’articolo 8 della direttiva 2004/48, la Corte dichiara che detta disposizione mira a conciliare il rispetto di diversi diritti, in particolare il diritto d’informazione dei titolari e il diritto alla tutela dei dati personali degli utenti (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2015, Coty Germany, C‑580/13, EU:C:2015:485, punto 28).

Gli obblighi per gli stati membri

Infine, la Corte precisa – quasi rimproverando il Tribunale Tedesco – che sebbene dalle considerazioni che precedono risulti che gli Stati membri non hanno l’obbligo, in forza dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48, di prevedere la possibilità, per le autorità giudiziarie competenti, di ordinare la fornitura dell’indirizzo di posta elettronica, del numero di telefono o dell’indirizzo IP delle persone indicate in tale disposizione nel contesto di un procedimento riguardante la violazione di un diritto di proprietà intellettuale, resta il fatto che gli Stati membri dispongono di una simile facoltà.

Infatti, come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 8, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, il legislatore dell’Unione ha espressamente previsto la possibilità, per gli Stati membri, di concedere ai titolari di diritti di proprietà intellettuale il diritto di ricevere un’informazione più ampia, purché, tuttavia, sia garantito un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali coinvolti e siano rispettati gli altri principi generali del diritto dell’Unione, quali il principio di proporzionalità.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono per la Corte la nozione di «indirizzo» contenuta nell’art. 8 più volte citato non si riferisce, per quanto riguarda un utente che abbia caricato file lesivi di un diritto di proprietà intellettuale, al suo indirizzo di posta elettronica, al suo numero di telefono nonché all’indirizzo IP utilizzato per caricare tali file o all’indirizzo IP utilizzato in occasione del suo ultimo accesso all’account utente. Per tale ragione, la Constantin si è vista nuovamente negare le proprie richieste.

Copyright e protezione dati, i diritti sul piatto

Ma quali diritti ci sono realmente sul piatto della bilancia? Da un lato c’è ovviamente il diritto all’informazione del titolare dei diritti di proprietà intellettuale e dall’altro c’è il diritto alla protezione dei dati personali degli utenti.

La CGUE sottolinea proprio l’intenzione alla base della direttiva sull’applicazione, ovvero quella di trovare un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi, da un lato, dei titolari dei diritti d’autore e, dall’altro, degli utenti e del pubblico, nel caso di specie senza però dare aiuti pratici ma rimandando alla uniformità ed armonizzazione delle normative Europee e alle possibilità giuridiche che ogni Stato Membro detiene.

A tale riguardo, infatti, la Corte indica che: “la direttiva 2004/48 ha lo scopo di stabilire un equilibrio tra, da una parte, l’interesse dei titolari alla tutela del loro diritto di proprietà intellettuale, sancita all’articolo 17, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, e, dall’altra, la tutela degli interessi e dei diritti fondamentali degli utenti di materiali protetti nonché dell’interesse generale”.

Conclusioni

La sentenza della CGUE presenta diversi spunti di interesse giuridico per i temi affrontati ma, tuttavia, forse non riesce a dare soluzione una volta per tutte alle diverse tematiche indicate lasciando la partita ancora completamente aperta con la conseguenza che ogni Stato potrebbe continuare a trovare risposte diverse e quindi a non uniformarsi al principio di armonizzazione tanto caro alla Corte.

L’interpretazione della dicitura “indirizzo” come indirizzo unicamente postale non può che avere natura anacronistica ed obsoleta. L’e-mail ormai ha assunto il ruolo degli indirizzi fisici e nel caso di caricamento di materiale online, l’indirizzo IP rappresenta forse l’unico indirizzo reale dell’autore della violazione.

Inoltre, l’interpretazione della legge sul diritto d’autore e sulla protezione dei dati di cui al Regolamento 2016/679 non sono stati minimamente presi in considerazione, lasciando il bilanciamento tra il copyright e la protezione dei dati formalmente inconcluso.

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