Stop alle nuove regole di WhatsApp che avrebbero escluso i chatbot AI concorrenti. L’Antitrust italiano adotta misure cautelari contro Meta per preservare la contendibilità del mercato dell’intelligenza artificiale conversazionale.
Una misura cautelare che apre un nuovo fronte nel governo dei mercati dell’AI.
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Il provvedimento AGCM
Con il provvedimento del 23 dicembre 2025 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ordinato a Meta Platforms di sospendere temporaneamente l’applicazione di nuove condizioni contrattuali di WhatsApp che avrebbero potuto determinare l’esclusione di chatbot di intelligenza artificiale sviluppati da operatori concorrenti.
L’intervento, adottato come misura cautelare nell’ambito di un’istruttoria antitrust ancora in corso, nasce dal sospetto che tali condizioni possano configurare un abuso di posizione dominante.
La notizia, riportata anche dalle testate internazionali, introduce un elemento di discontinuità rispetto al dibattito precedente: per la prima volta, il fulcro dell’attenzione regolatoria va oltre l’integrazione dell’intelligenza artificiale proprietaria di Meta, per concentrarsi sull’effetto immediato che tale integrazione produce sulla possibilità per soggetti terzi di continuare a operare sul mercato.
Secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, le nuove condizioni contrattuali dei “WhatsApp Business Solution Terms”, introdotte lo scorso 15 ottobre, escludono del tutto dalla piattaforma WhatsApp le imprese concorrenti di Meta AI nel mercato dei servizi di chatbot AI e sono ritenute suscettibili di limitare “la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico” del mercato interessato, causando un potenziale danno grave e irreparabile alle dinamiche competitive durante il tempo necessario all’istruttoria.
Per evitare che la condotta produca effetti irreversibili sulla contendibilità del mercato, l’Autorità ha quindi disposto la sospensione immediata delle condizioni contrattuali in questione, preservando l’accesso alla piattaforma WhatsApp per i chatbot AI concorrenti.
Questo spostamento di prospettiva è tutt’altro che marginale. Nei mesi precedenti, la discussione pubblica e istituzionale aveva riguardato infatti soprattutto la legittimità dell’inserimento di Meta AI all’interno dell’interfaccia di WhatsApp.
L’intervento dell’AGCM, invece, pone al centro una questione diversa e, cioè, se e in che misura le scelte contrattuali e tecniche di una piattaforma dominante possano determinare una selezione anticipata del mercato dei chatbot AI, escludendo intere categorie di operatori prima ancora che la competizione possa dispiegarsi pienamente.
Il vero terreno dello scontro
Il caso italiano rende evidente un dato strutturale spesso sottovalutato nel dibattito sull’intelligenza artificiale, ovvero che la competizione nell’innovazione tecnologica si gioca sempre di più sul controllo dei canali di distribuzione.
I chatbot di intelligenza artificiale, soprattutto quelli progettati per interagire con utenti finali in contesti commerciali o professionali, non operano in uno spazio neutro, poiché la loro efficacia dipende in larga misura dall’ambiente comunicativo in cui sono inseriti e dalla facilità con cui possono essere raggiunti dagli utenti.
WhatsApp rappresenta uno di questi ambienti privilegiati: la sua diffusione capillare fa sì che l’accesso a questa piattaforma diventi, per molti servizi AI conversazionali, una condizione quasi imprescindibile. In questo contesto, modificare le regole di accesso alle API o alle funzionalità di integrazione significa incidere direttamente sulle possibilità di competizione, prima ancora che sul piano tecnologico.
È su questo livello che l’Antitrust interviene, riconoscendo che la distribuzione è diventata il vero campo di battaglia dell’AI conversazionale.
I rival AI chatbots come soggetti economicamente dipendenti dall’accesso
Uno degli aspetti più rilevanti e meno esplorati del provvedimento dell’AGCM è il riconoscimento implicito di una forma di dipendenza economica dei chatbot concorrenti rispetto all’accesso a WhatsApp.
A differenza dei grandi modelli generalisti, molti operatori attivi nel mercato dell’AI conversazionale sviluppano soluzioni fortemente integrate in specifici contesti d’uso: customer care, prenotazioni, assistenza post-vendita, servizi informativi verticali.
Per questi operatori, l’AI è un servizio che vive all’interno di un flusso comunicativo, non un semplice prodotto stan-alone. L’accesso a WhatsApp diventa quindi una condizione di esistenza economica, e va oltre il semplice vantaggio competitivo e, di conseguenza, la modifica unilaterale delle condizioni di accesso rischia di produrre un effetto selettivo anticipato, che elimina dal mercato intere categorie di soluzioni prima ancora che possano competere sul piano della qualità o dell’innovazione.
La misura cautelare disposta dall’Antitrust va letta quindi in questa chiave, cioè come protezione della possibilità stessa di un ecosistema pluralistico di chatbot AI. È un passaggio importante, perché sposta l’attenzione dall’AI come tecnologia, all’AI come servizio economicamente dipendente da infrastrutture controllate da terzi.
Perché questa volta l’intervento è preventivo
Un aspetto centrale che distingue questo caso da molte altre indagini antitrust è la scelta di intervenire in via cautelare.
Nei mercati digitali, e in particolare in quelli legati all’intelligenza artificiale, il fattore temporale è infatti decisivo. Gli effetti di rete e i meccanismi di apprendimento automatico fanno sì che i vantaggi competitivi si accumulino rapidamente, rendendo difficile qualsiasi recupero ex post da parte dei concorrenti esclusi.
L’AGCM sembra muoversi sulla base di una consapevolezza precisa, chiarendo che attendere la conclusione dell’istruttoria potrebbe significare arrivare troppo tardi.
Nel caso dei chatbot AI, intervenire prima significa preservare uno spazio di contendibilità che, una volta perso, difficilmente potrebbe essere ricostruito. L’Antitrust sembra quindi adottare una logica di prevenzione strutturale, più che di mera repressione ex post, adattando i propri strumenti alla velocità dei mercati tecnologici.
La misura cautelare, infatti, pur non anticipando il giudizio di merito, congela una situazione potenzialmente irreversibile, preservando la possibilità di una competizione futura. In questo senso, l’intervento preventivo diventa uno strumento di governo del mercato emergente, e non una mera eccezione procedurale.
Il ruolo dell’AGCM nel contesto europeo
L’azione dell’Antitrust italiano si inserisce in un quadro europeo più ampio, evidenziandone anche le articolazioni interne.
Mentre la Commissione europea opera su un piano sistemico, analizzando le condotte delle grandi piattaforme in una prospettiva sovranazionale, le autorità nazionali possono intervenire in modo più rapido e mirato, soprattutto quando gli effetti delle pratiche contestate si manifestano con particolare intensità in un determinato contesto nazionale.
In questo senso, l’AGCM svolge una funzione di avanguardia regolatoria. Il suo intervento, senza porsi in alternativa all’azione europea, la anticipa e la integra, mostrando come il pluralismo dell’enforcement possa rappresentare un valore nei mercati tecnologici in rapida evoluzione.
Nel caso di WhatsApp, l’AGCM agisce infatti come un attore di frontiera, in grado di intervenire rapidamente su un mercato nazionale fortemente esposto agli effetti di una piattaforma globale. Questo, a ben vedere, anziché indebolire l’azione europea, la rafforza, fornendo elementi concreti su cui costruire valutazioni più ampie.
La tutela dei chatbot rivali diventa così un terreno concreto su cui testare l’efficacia di un approccio multilivello alla regolazione delle piattaforme digitali, ovverossia un laboratorio di enforcement, in cui si sperimentano strumenti e approcci destinati ad influenzare l’intero ecosistema regolatorio europeo.
Gli effetti immediati per imprese e sviluppatori
Dal punto di vista delle imprese e degli sviluppatori, la sospensione delle nuove condizioni contrattuali produce effetti immediati e tangibili, perché evita che modelli di business basati sull’integrazione di chatbot su WhatsApp vengano improvvisamente messi in discussione da un cambiamento unilaterale delle regole.
Per molte PMI tecnologiche, la continuità di accesso a un canale di comunicazione dominante è una questione di sopravvivenza economica, non di semplice convenienza.
Questo aspetto conferisce al caso una concretezza che spesso manca nelle controversie antitrust più astratte: qui si discute di effetti diretti sulla possibilità di operare, investire e innovare, non di ipotesi teoriche.
L’intervento dell’AGCM congela uno scenario che, se lasciato evolvere liberamente, avrebbe potuto produrre una selezione irreversibile del mercato a favore di un unico attore.
Concorrenza come leva di governance dell’AI
In questo contesto, la concorrenza emerge come uno strumento operativo di governance dell’intelligenza artificiale.
L’azione dell’Antitrust non incide sui modelli, né sui rischi intrinseci dell’AI, ma sulle condizioni di accesso al mercato che determinano quali soluzioni possono effettivamente raggiungere gli utenti. È una forma di regolazione indiretta, non per questo meno incisiva.
Governare l’accesso significa governare l’evoluzione futura dell’ecosistema tecnologico. In mercati ancora in formazione, come quello dei chatbot AI, decidere chi può competere equivale a decidere quali traiettorie di sviluppo saranno possibili.
In questo senso, il diritto della concorrenza svolge un ruolo di riequilibrio strutturale del potere tecnologico.
Un precedente che ridefinisce il dibattito sui chatbot AI
Il caso dei rival AI chatbots su WhatsApp mostra in modo particolarmente chiaro come la concorrenza stia assumendo una funzione nuova nella governance dell’intelligenza artificiale. Si è andati oltre la correzione di comportamenti abusivi, attraverso un intervento che riguarda le condizioni di accesso che determinano chi può partecipare allo sviluppo e alla diffusione dell’AI.
In questo senso, il diritto della concorrenza opera come complemento necessario delle normative settoriali sull’AI.
Mentre strumenti come l’AI Act intervengono sui rischi e sugli usi dell’intelligenza artificiale, l’antitrust incide sulle strutture di mercato che rendono possibile o impossibile la pluralità tecnologica. Governare l’accesso ai canali di distribuzione significa governare, indirettamente, l’evoluzione dell’AI stessa.
L’intervento dell’AGCM suggerisce una lettura più matura della relazione tra tecnologia e mercato: l’innovazione non è neutrale rispetto alle infrastrutture che la ospitano.
Senza un mercato aperto, anche l’AI più avanzata rischia di diventare uno strumento di consolidamento del potere esistente.
La concorrenza, in questo quadro, rappresenta una condizione necessaria perché possa esistere una pluralità dell’innovazione.














