La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che un datore di lavoro può filmare con telecamere nascoste i lavoratori, nel caso sospetti che lo derubino. La sentenza, definitiva, chiarisce un aspetto importante sul tema del rispetto della privacy, in ambito professionale. Approfondiamo la vicenda che si inserisce nelle questioni tra videosorveglianza e tutela privacy.
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Il caso
La sentenza chiude una causa avviata dagli ex dipendenti infedeli di un supermercato vicino a Barcellona, licenziati perché rubavano la merce o favorivano altri ladri. Nel 2009 infatti il loro datore di lavoro si era accorto che non tornavano i conti tra la merce venduta e quella rimasta in magazzino, per una perdita complessiva di 82.000 euro. Così, insospettito, aveva posizionato alcune telecamere per cogliere sul fatto i responsabili: quelle all’uscita del negozio erano ben visibili, mentre altre erano nascoste. È emerso che erano proprio alcuni dipendenti ad appropriarsi della merce, persone che sono state licenziate.
Tuttavia, loro hanno fatto causa, sostenendo che la loro privacy fosse stata violata. Si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nella storica sentenza di oggi ha evidenziato come avessero torto.
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L’analisi
La Corte di Strasburgo ha sottolineato che la privacy dei lavoratori non era stata violata. Il titolare del supermercato era giustificato, perché il sospetto di essere derubato proprio dai dipendenti era concreto. Le perdite economiche erano reali e provate.
Oltretutto, il titolare non aveva fatto un uso indiscriminato della videosorveglianza. Le telecamere si trovavano in aree aperte al pubblico e le riprese non sono state divulgate, inoltre dopo dieci giorni le telecamere sono state rimosse.
“Da noi non cambia nulla: è già così”, commenta Fulvio Sarzana, avvocato esperto di privacy. “Dai provvedimenti del garante del 2010 sono alla riforma del jobs act dell’art 4 dello statuto dei lavoratori una cosa è sempre stata sicura: puoi proteggerti dai furti dei dipendenti con la video sorveglianza”.
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Il Garante: “Fondamentale il principio di proporzionalità”
Il Garante della privacy Antonello Soro ha commentato: “La sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo se da una parte giustifica, nel caso di specie, le telecamere nascoste, dall’altra conferma però il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo”. E precisa: “L’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro è stata infatti ritenuta ammissibile dalla
Corte solo perché, nel caso che le era stato sottoposto, ricorrevano determinati presupposti: vi erano fondati e ragionevoli sospetti di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale, l’area oggetto di ripresa (peraltro aperta al pubblico) era alquanto circoscritta, le videocamere erano state in funzione per un periodo temporale limitato, non era possibile ricorrere a mezzi alternativi e le immagini captate erano state utilizzate soltanto a fini di prova dei furti commessi”.
La videosorveglianza nascosta è, dunque, ammessa “solo in quanto extrema ratio, a fronte di gravi illeciti e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore – prosegue il Garante -. Non può dunque diventare una prassi ordinaria. Il requisito essenziale perché i controlli sul lavoro, anche quelli difensivi, siano legittimi resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza: capisaldi della disciplina di protezione dati la cui funzione sociale si conferma, anche sotto questo profilo, sempre più centrale perché capace di coniugare dignità e iniziativa economica, libertà e tecnica, garanzie e doveri”.