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Dominio tecnologico israeliano nella lotta ad Hamas: vera forza in campo, ma anche tallone d’Achille

Quanto sta accadendo nella guerra israelo-palestinese insegna che, in un periodo di instabilità globale come quello in corso, la tecnologia, per quanto efficace e funzionale, non può sostituire la politica e la strategia, veri elementi cardine senza i quali nessun conflitto può essere veramente risolto. Ecco perché

Pubblicato il 21 Nov 2023

Davide Bruseghin

Osint Junior Analyst, Hermes Bay

Dominio tecnologico israeliano o tallone d'Achille

I comandanti della Brigata Givati, la principale forza di fanteria israeliana schierata a Gaza, utilizzano come base avanzata CdC (Command and Control) un gruppo di edifici di un piano.

Per il coordinamento delle operazioni sul terreno vengono utilizzate decine di schermi che visualizzano l’attuale posizione di tutte le forze israeliane e palestinesi all’interno di Gaza.

Le informazioni così raccolte vengono utilizzate per spostare truppe, armi e aerei di sorveglianza intorno alla zona d’interesse come pedine di una grande e complessa scacchiera.

Questa posizione, vicina al confine con Gaza, è un hub cruciale per la raccolta e l’elaborazione delle informazioni provenienti dal fronte. Riceve migliaia di singoli dati sul campo di battaglia da parte di droni, aviazione, marina, mezzi corazzati ed unità di fanteria.

Questa importante capacità informativa ha permesso alle IDF di tagliare in due la striscia di Gaza e circondare completamente la parte Nord, con l’intenzione di distruggere la rete infrastrutturale di tunnel e fortezze costruite dai miliziani di Hamas nel corso degli anni.

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Israele-Hamas: il ruolo dell’intelligenza artificiale

La supremazia tecnologica delle forze armate israeliane nei confronti dei loro avversari non è nuova, dato il chiaro squilibrio nelle componenti dei mezzi aerei, navali e terrestri, senza contare lo sbilanciamento della pura potenza di fuoco.

Un altro esempio del vantaggio delle Forze di Difesa israeliane è la dichiarazione di utilizzo dell’intelligenza artificiale per scegliere gli obiettivi per gli attacchi aerei e pianificare la logistica per le operazioni di combattimento già durante gli scontri del 2021.

L’esercito dice che ora sceglie gli obiettivi per gli attacchi aerei utilizzando un sistema di suggerimento basato sull’IA che può elaborare enormi volumi di dati, nonostante vi sia la segretezza per quanto riguarda i dettagli delle singole missioni. Un altro modello di intelligenza artificiale chiamato “Fire Factory” può invece essere utilizzato per organizzare rapidamente attacchi in sequenza su bersagli multipli.

Utilizza informazioni su obiettivi approvati dai militari per calcolare le tipologie e la quantità di munizioni, prioritizzare i bersagli, organizzare una timeline e assegnare potenzialmente migliaia di obiettivi agli aerei e ai droni.

L’uso di droni e sistemi di difesa avanzati

Altri sistemi ben rappresentanti di questo importante divario sono i 3 apparati di difesa aerea che compongono il sofisticato sistema integrato di difesa israeliana: rispettivamente l’Iron beam, l’Iron dome e il David’s sling.

Il primo, ancora in fase di sviluppo, punta ad essere uno dei primi sistemi antidrone e antimissile basato sulla tecnologia laser ad energia diretta, mentre i due restanti sono il nerbo del sistema di difesa delle IDF e sono due sistemi più “tradizionale”, che utilizzano vettori per abbattere, missili, droni e proiettili d’artiglieria in arrivo.

Infine, un’ultima tecnologia che il grande pubblico ha imparato a conoscere a partire dal 2022 di cui anche Israele fa un grande uso sono i droni, che pur divisi in varie famiglie, tra cui ricognizione, attacco e kamikaze, rappresentano elementi oramai imprescindibili dell’arte della guerra contemporanea.

È fondamentale ricordare, tuttavia, che per le IDF e l’IAF, le opportunità operative offerte dall’equipaggiamento di UAV sono complementari alla loro missione primaria, che è ancora l’ISR (Intelligence, Surveillance, Recognition). Anche se gli Hermes 450 e 900, due tra i droni più diffusi, sono in grado di trasportare armamenti, la loro funzione principale rimane la sorveglianza e la ricognizione sul campo di battaglia.

Discorso differente per le munizioni circuitanti (loitering munitions) di cui fanno parte l’Harpy, l’Harop e il Rotem: se la missione primaria rimane la stessa dei loro “fratelli maggiori”, ovvero la sorveglianza, le capacità di attacco sono più marcate, in quanto da definizione sono una piattaforma più spendibile di un drone e con una maggiore capacità di intervento al suolo e precisione.

Tali fattori sono garantiti da un lato dai sensori ottici o antiradar presenti su queste munizioni, mentre dall’altro le ridotte dimensioni che li rendono più difficili da individuare e permettono quindi una capacità di attacco e osservazione molto più capillare, data la possibilità di avvicinarsi ai bersagli quasi inosservati.

Dominio tecnologico o tallone d’Achille?

Questo grande vantaggio è originato primariamente dalla promessa di lunga data degli Stati Uniti di sostenere la superiorità militare di Israele, con circa 3,8 miliardi di dollari di aiuti militari all’anno.

Questo, insieme al generoso utilizzo da parte delle forze armate dell’industria tecnologica in espansione di Israele, consente alle IDF di mettere in campo un costoso esercito ad alta tecnologia.

Il problema si sviluppa quindi con la consapevolezza di avere tale superiorità rispetto ai propri avversari, ed è particolarmente vero per quanto riguarda Hamas, che non dispone minimamente della stessa capacità operativa ma che ha saputo colpire velocemente, duramente e con un’architettura d’attacco complessa durante gli eventi del 7 ottobre.

Ci sono diverse ragioni per cui l’enfasi dell’IDF sulla tecnologia potrebbe aver generato le concause sia del devastante colpo subito durante l’operazione “Diluvio Al-Aqsa” di Hamas che del successivo approccio “diretto” nell’offensiva a Gaza.

Nel secondo caso la predominanza delle operazioni aeree ha inevitabilmente alzato i numeri delle perdite tra i civili palestinesi. In primo luogo, la fiducia di Israele nel suo dominio tecnologico ha contribuito a far credere ai politici e agli ufficiali militari di alto livello che la strategia militare di Israele non richiede loro di prendere decisioni difficili a livello politico e strategico.

In secondo luogo, le IDF potrebbero aver sviluppato un atteggiamento difensivo a causa di un’eccessiva dipendenza da tali tecnologie a livello tattico, che potrebbe aver causato la diminuzione di capacità critiche come l’abilità di svolgere complicate operazioni ad armi combinate durante un’offensiva.

La barriera di confine “intelligente”, una barricata lunga 64 Km e alta 6 metri con sensori avanzati e mitragliatrici controllate da remoto, è la migliore rappresentazione di questa mentalità.

A causa della recinzione, comunemente conosciuta come “Muro di Ferro”, si credeva erroneamente che un gran numero di forze terrestri non fossero necessarie per difendersi dagli attacchi provenienti di Gaza. Di conseguenza, è stato possibile lo spostamento del nucleo delle forze terrestri dell’IDF in Cisgiordania, lasciando gravemente sguarnito il confine con la striscia.

I sistemi automatizzati hanno bisogno di forze terrestre significative

L’offensiva in corso a Gaza è un esempio delle difficoltà che l’esercito deve affrontare sul terreno, anche se integra tecnologie all’avanguardia su piattaforme già esistenti. Per esempio, Israele ha identificato obiettivi utilizzando i big data e l’intelligenza artificiale, ma i sistemi automatizzati hanno ancora bisogno di una forza terrestre significativa per eseguire le missioni.

Sebbene un maggiore controllo del campo di battaglia abbia certamente un effetto, il ritmo della campagna suggerisce che l’efficacia della tecnologia in ambito bellico, per quanto gradualmente sempre più importante, non può ancora essere disgiunta da tattiche e capacità operative dell’elemento umano.

Inoltre, in questa guerra, anche le difese aeree a più livelli di Israele, conosciute per efficienza ed efficacia, sono sotto pressione.

Dati provenienti da West Point indicano che Hamas ha sparato almeno 2.000 razzi nel solo 7 ottobre, il primo giorno di combattimento. Da quando è iniziato il conflitto, centinaia di razzi sono stati lanciati lungo il fronte settentrionale di Israele dal gruppo militante Hezbollah in Libano.

La maggior parte dei razzi sono stati distrutti o deviati, tuttavia, alcuni sono riusciti a fare breccia nel sistema difensivo, colpendo edifici lontani da Tel Aviv e uccidendo almeno 11 persone, secondo i funzionari israeliani.

In questo senso, nonostante le 10 batterie a protezione del paese e il tasso di efficacia superiore al 90%, anche un sistema difensivo altamente tecnologico e multistrato come quello israeliano può essere penetrato se sovraccaricato di bersagli relativamente economici rispetto alla controparte difensiva.

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Quale lezione apprendere

La problematica delle false sicurezze causate dalla superiorità tecnologica vera o presunta, hanno di fatto contribuito al riaccendersi delle ostilità, causando perdite di migliaia di civili e militari di ambo le fazioni in contesa.

La lezione da apprendere rapidamente in un periodo di instabilità globale come quello in corso, è che la tecnologia, per quanto efficace e funzionale, non può sostituire la politica e la strategia, veri elementi cardine senza i quali nessun conflitto può essere veramente risolto.

Questo ultimo caso, dopo le crisi di Afghanistan e Ucraina, ci insegna inoltre che forze relativamente male armate ma motivate ed organizzate, posso mettere in scacco avversari ben più quotati. In questo senso sarà fondamentale prendere coscienza di queste lezioni, sia per ridefinire il modo “occidentale” di affrontare i conflitti che per affrontare con fiducia gli eventi futuri.

Ad oggi la possibilità di nuovi scontri nel globo è tutt’altro che remota e l’unico modo per evitarne l’accensione è essere pronti a tutte le evenienze facendo tesoro delle esperienze recenti.

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