il commento

Obbligo vaccino over 50, ecco le sanzioni automatiche: ma la privacy?

Sarà l’agenzia delle entrate a breve, con un controllo automatico su banche dati, a erogare le sanzioni da 100 euro agli over 50 che non si sono vaccinati. La privacy aggirata con la deregulation del decreto capienze. E tuttavia la storia non è finita: garante privacy può ancora intervenire. Restano tutele normative che possono pesare sulla partita

Pubblicato il 14 Gen 2022

Christian Bernieri

DPO e Consulente in materia di Protezione dei Dati Personali

vaccini over 50 privacy

Cominceranno a breve le sanzioni automatiche da 100 euro per gli over 50 che non si sono vaccinati da meno di quattro mesi; sanzione che si aggiunge, come noto, al divieto di accesso al luogo di lavoro.  Scattano dal primo febbraio, fino al 15 giugno 2022 e valgono anche per chi compirà gli anni dopo l’entrata in vigore del decreto (8 gennaio).

Le sanzioni saranno tramite un sistema di incrocio banche dati a opera dell’Agenzia delle Entrate, come previsto dal DL 1/2022.

Tutto liscio, tutto bene? In realtà la questione è più complicata di così.

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Il problema della verifica automatica degli over 50 senza vaccino

La prima considerazione riguarda l’importanza di comprendere perché sia stato demandato all’Agenzia delle entrate (Ade) un compito che sarebbe potuto essere svolto da altri soggetti, già titolati ed impegnati nella gestione di adempimenti legati alla pandemia, già in possesso dei dati necessari e, in ultima analisi, più appropriati allo scopo.

In questa sede si possono solo fare solo irrilevanti congetture e il Governo certamente non dichiarerà le vere ragioni di questa scelta. Solo il tempo ci aiuterà a delineare i contorni della norma in modo nitido e a svelare le intenzioni sottese a questa operazione.

Per ora è sufficiente osservare che il ministero della salute, i comuni, le regioni, le autorità sanitarie locali dispongono già di tutti gli strumenti, le competenze e le attribuzioni necessarie per gestire l’introduzione di questo obbligo:

  • per identificare i soggetti coinvolti
  • per organizzare ed agevolare l’adempimento
  • per verificare l’osservanza dell’obbligo
  • per sanzionare la mancata osservanza
  • per organizzare, gestire e monitorare ogni aspetto del processo legato all’obbligo vaccinale degli over 50.

Questa considerazione è importante poiché, come pare banale agli occhi di chiunque, volendo individuare il soggetto ideale, non esiste miglior operatore di quello che sta già utilizzando i dati necessari nell’ambito del proprio lavoro ordinario e consolidato.

Questa evidenza corrisponde, in realtà, ad un fondamentale principio contenuto nel GDPR: il principio di minimizzazione dei dati, ossia alla esigenza di utilizzare unicamente i dati adeguati, pertinenti e necessari rispetto alle finalità per le quali sono trattati. Allargare la cerchia dei soggetti coinvolti nel trattamento, senza una reale necessità, implica la violazione di questo principio.

La privacy nelle sanzioni per gli over 50 senza vaccino

A livello più tecnico si può evidenziare che ogni ente pubblico può (leggasi “deve”) operare nell’ambito delle funzioni attribuite dalla legge o, per esprimerci con le parole usate dal GDPR, per svolgere i trattamenti necessari per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui l’ente sia  investito, in qualità di titolare del trattamento.

Volendo affinare ulteriormente il discorso, occorre rilevare la natura dei dati che, nel caso in esame, è definita particolare (c.d. sensibile) poiché riguarda lo stato di salute delle persone e che, quindi, richiede una serie di misure aggiuntive a tutela degli interessati. Il dovere  dell’Ente pubblico diventa più gravoso e il trattamento può dirsi legittimo unicamente se necessario per motivi di interesse pubblico rilevante e deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato.

Il passaggio da un interesse pubblico ad un interesse pubblico rilevante è fondamentale per determinare la legittimità del trattamento e implica, di conseguenza, l’applicazione di differenti articoli del codice privacy: l’interesse pubblico richiede l’applicazione del semplice e modesto articolo 2-ter del D.Lgs 196/03;

l’interesse pubblico rilevante comporta l’applicazione dell’articolo 2-sexies del Codice Privacy che prevede di specificare, nel documento normativo o nell’atto amministrativo che ne fonda l’esistenza, una serie di elementi:

  • i tipi di dati che possono essere trattati, 
  • le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, 
  • le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato.

Come noto, proprio questo articolo è stato recentemente modificato (si veda il “decreto capienze” Dl 139/2021) introducendo la possibilità di legittimare questi particolari trattamenti anche con un semplice atto amministrativo anziché, come precedentemente previsto, con una legge.

Decreto Capienze, niente privacy siamo PA: ecco perché il nuovo testo spaventa gli esperti

Questa modifica è stata letta dalla massima parte degli interpreti come estremamente rischiosa e insidiosa. Anche il Garante privacy e tutti i soggetti presenti alle audizioni in commissione parlamentare hanno stigmatizzato questa modifica come un grave errore.

La deregulation privacy all’opera

In queste ore assistiamo al debutto della norma: la prima grande prova sul campo di applicazione della deregulation voluta dal Governo con la recente modifica del Codice Privacy e l’introduzione di un nuovo trattamento legittimato e regolato da un atto amministrativo. Infatti il Dl 1/2022 non entra nello specifico e non contiene alcuno degli elementi necessari per la legittimazione del trattamento. Per la completa attuazione diventa necessario un secondo provvedimento, quale che ne sia la forma, che disciplini i dettagli e che, soprattutto, preveda gli elementi obbligatori per poter definire legittimo il trattamento nel suo complesso.

Se è vero che il legislatore, per definizione, è la massima espressione della competenza nelle materie toccate dalla sua potestà legislativa, allora, quanto più ci si allontana dal Parlamento, tanto più ci si avvenuta in una selva di approssimazione, faciloneria, improvvisazione, fino alla sconfinata creatività e fantasia che tanto spesso permea gli atti amministrativi. Sarà interessante osservare l’operato di chi è destinato ad un così alto compito: legittimare e regolare il trattamento di dati particolari, necessario per motivi di interesse pubblico rilevante. Tutti gli occhi saranno puntati sul palcoscenico e le aspettative sono, ahimè, altissime.

Ma ci sono tutele privacy ancora da giocare

Il Garante è oggi limitato nella facoltà di spontaneo e preventivo intervento ma sarà consultato dalla commissione parlamentare, in sede di conversione in legge del Dl 1/2022. 

Potrebbe tuttavia capitare che il Garante, su impulso e segnalazione di cittadini preoccupati, debba interessarsi nel dettaglio sia della norma che dell’atto amministrativo che fungerà da base di legittimazione del trattamento. L’intervento dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali sarà quindi solo rallentata ma non sarà frustrata e questo potrà risultare, globalmente, penalizzante per l’amministrazione coinvolta. Questa, quale che sia, a posteriori, l’ente che provvederà con proprio atto amministrativo, dovrà superare il vaglio dei tecnici e dei giuristi del Garante e sarà così esposta a feroci critiche per il proprio operato, avendo perso la possibilità di un intervento preventivo dell’Autorità, con chiara funzione di guida e supporto nella formazione degli atti.

Il debutto della norma che autorizza gli entri pubblici a trattare dati sulla base di un proprio atto amministrativo,  rischia di trasformarsi in una débâcle. 

Processo automatizzato

In questa sede si deve evidenziare un’altra norma che sarà fondamentale per apprezzare la bontà del provvedimento: l’articolo 22 del GDPR – Processo decisionale automatizzato.

Questa norma prevede il diritto dell’interessato di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona.

Contrariamente alla legittimazione che, come descritto, può trovare oggi fondamento in un atto amministrativo, l’articolo 22 non consente deroghe, se non in presenza di una norma di legge. L’atto amministrativo sarà quindi inefficace come strumento per ammorbidire le prescrizioni dettate dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali  e relative ai processi decisionali automatizzati.

L’operazione e il trattamento dei dati personali descritto dal Ministro sembrano andare proprio in questa direzione e dovrà essere verificato, quindi, il rispetto di ciò che l’articolo 22 prescrive: misure specifiche ed adeguate di tutela dei diritti degli interessati, il diritto di ottenere l’intervento umano di un funzionario del ministero, di esprimere opinioni e contestare la decisione.

L’articolo 22 del GDPR rischia di diventare un ostacolo difficile da aggirare e potrebbe comportare, per il Ministero, una mole di lavoro inaspettato, la necessità di dare riscontro manuale ad un numero elevato di richieste e di aprire altrettanti fascicoli, vanificando forse l’efficienza e il risparmio di risorse cercato mediante il coinvolgimento dell’Agenzia delle Entrate.

Tutte questioni che potranno essere sollevate durante il dibattito parlamentare per la conversione del decreto, nelle prossime settimane. Nell’occasione sarà audito il Garante Privacy.

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