La competizione tra le grandi potenze mondiali e le aziende tecnologiche per dominare il settore dei microchip ha rivoluzionato il campo dell’elettronica e dell’informatica.
Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e Taiwan sono tra i principali attori di questa chip war, che si sta combattendo a colpi di sviluppo tecnologico sempre più avanzato e divieti ai concorrenti per frenarne la crescita.
Indice degli argomenti
Dal chip al cloud: il nuovo fronde di cyberwar
Ricordiamo che nel 2022 dagli Stati Uniti erano state limitate le esportazioni in Cina di chip avanzati e strumenti per produrli e gli stessi produttori di chip avevano subito ritorsioni cinesi, per esempio, nel 2023, quando i chip di memoria di Micron erano stati esclusi da alcuni progetti infrastrutturali, con conseguente calo dei prezzi delle azioni dei fornitori americani di chip del produttore di iPhone, come Cirrus, Qualcomm e Skyworks.
Nel caso dei produttori americani di strumenti per la produzione di chip, ad avvertire nel 2022 di una riduzione delle vendite di 2 miliardi di dollari nel 2023, circa il 10% del fatturato, sono state lam Research e Applied Materials che, però, hanno potuto continuare a vendere apparecchiature dedicate alla produzione di semiconduttori meno avanzati alla Cina, compensando in questo modo le perdite.
Per questo motivo, come riportato dalla società di analisi New Street Research, tra il 2019 e il 2023 sono aumentati di quattro volte gli acquisti cinesi di questi strumenti.
Ora, alla chip war si affianca la cloud war, la guerra del cloud, favorita dalla crescente importanza che il cloud computing sta assumendo sulla scena tecnologica.
Infatti, il cloud computing costituisce una parte essenziale per varie applicazioni, come l’intelligenza artificiale, i big data e l’IoT.
Chi c’è sul fronte della cloud war
Proprio per la sua capacità di memorizzazione, elaborazione e analisi di grandi quantità di dati essenziali per lo sviluppo dell’AI, colossi tecnologici di tutto il mondo stanno investendo laute somme di denaro in infrastrutture cloud.
Gli Stati Uniti, in testa nella competizione cloud, vi partecipano con Amazon e il cloud AWS, con Microsoft e il cloud Azure, e con Google e il cloud Google Cloud, mentre la Cina si sta facendo prepotentemente strada, supportata dal governo, grazie ad Alibaba Cloud, Tencent Cloud e Huawei Cloud.
Dal canto suo, l’Europa sta tentando di dotarsi di un’infrastruttura cloud indipendente, GAIA-X, per guadagnarsi una propria autonomia dai fornitori di cloud non europei.
Accanto ai grandi nomi, si affacciano anche fornitori regionali e start-up innovative. Insomma, la volontà di emergere nella competizione mondiale tecnologica in campo cloud è abbastanza evidente.
La sicurezza del cloud
Con l’avanzare del cloud computing nel mondo dell’innovazione tecnologica, aumentano anche le preoccupazioni in merito alla sua sicurezza.
L’affidamento a fornitori di cloud stranieri per le infrastrutture critiche di IA comporta rischi potenziali, tra cui la violazione dei dati, lo spionaggio e la perdita di controllo sulle informazioni sensibili, senza contare una maggiore vulnerabilità della sicurezza nazionale e della stabilità economica.
Da qui nascono le strategie dei vari governi di tenersi in casa l’infrastruttura cloud, così da poterla controllare e da poterla sottoporre a standard rigidi di sicurezza.
Per far fronte alla nuova ondata di sviluppo tecnologico che riguarda il cloud computing, “i responsabili politici, le aziende e i leader tecnologici dovrebbero prendere in considerazione le seguenti raccomandazioni:
- sviluppare solide misure di cyber security per proteggere l’infrastruttura e i dati del cloud;
- promuovere la cooperazione internazionale per stabilire quadri normativi e standard per i servizi cloud;
- incoraggiare l’innovazione e la concorrenza nel mercato del cloud per promuovere i progressi tecnologici;
- promuovere una crescita equilibrata che garantisca sia i benefici economici che la sicurezza nazionale”.
L’approccio mondiale sul cloud
Tutti i sistemi avanzati di AI vengono sviluppati in data center pieni di chip di fascia alta, come le unità di elaborazione grafica Nvidia e i semiconduttori di memoria ad alta larghezza di banda.
I chip di IA all’avanguardia sono già soggetti ai controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti e presto potrebbero aggiungersi anche i chip di memoria avanzati.
Dato che già alla Cina è stato vietato di accedere a chip USA soggetti a restrizioni e quindi ne sta sviluppando di propri, anche gli altri Paesi si stanno attrezzando con data center sul proprio territorio.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno espresso la volontà di diventare hub dell’intelligenza artificiale investendo in data center, il Kazakistan vuole costruirne uno e addestrare modelli nella lingua nazionale e la Malesia sta già scommettendo sui data center grazie ad investimenti da parte di aziende statunitensi e cinesi.
I timori degli USA
Gli USA ritengono che se non accettano accordi da governi stranieri che stanno investendo miliardi di dollari in infrastrutture AI, sarà la Cina a farlo e che, per restare sul podio delle maggiori potenze tecnologiche, hanno bisogno dei mercati internazionali.
Lo scorso maggio lo stesso presidente americano Joe Biden ha annunciato, insieme al presidente del Kenya William Ruto, in visita alla Casa Bianca, la costruzione da parte di Microsoft di un data center nella regione africana per offrire servizi di cloud computing, tralasciando che in collaborazione con Microsoft c’è G42, azienda tech degli Emirati Arabi già partner di realtà cinesi.
Un accordo di questo tipo è ciò che più preoccupa gli esperti di sicurezza americani.
Nello scontro tech con la Cina, gli Stati Uniti sono preoccupati per la crescita del cloud computing di Huawei.
Il responsabile di Huawei Cloud ha recentemente sostenuto che la Cina dovrebbe “spostare la domanda di potenza di calcolo per l’AI dai chip” al cloud, settore in cui la Cina ha una vasta scala e non ha difficoltà a costruire l’infrastruttura elettrica che i data center dell’AI richiedono.
Bisognerà, però, vedere se Huawei potrà raggiungere il suo obiettivo facendo meno dei microchip più avanzati e il fatto che la Cina sta importando un gran numero di chip H20 di Nvidia, deliberatamente declassati per rispettare le restrizioni statunitensi, suggerisce che non esporterà presto la propria tecnologia AI.